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La comicità sfrenata e sboccata di Larry Charles, è uno dei cinque eventi culturali, celebrati alla prima edizione della Festa Internazionale del Cinema di Roma. L’attesissima commedia, Borat: Cultural Learnings of America for Make Benefit Glorious Nation of Kazakhstan – sui nostri schermi arriverà soltanto in primavera - si aggira senza scrupoli sulle tracce dell’American way of life. Protagonista della commedia è Borat Sgdiyev/Sacha Baron Cohen, nei panni di un falso giornalista del Kazakhstan, inviato negli Stati Uniti a seguito di un finanziamento del suo Ministero degli Esteri per girare un’inchiesta appunto sull’American way of life. Il comico inglese Sacha Baron Cohen, aveva prima del film già interpretato il personaggio di Borat in tv, nel suo Da Ali G. Show. Così ritroviamo Borat, che questa volta parte con il suo produttore Azamat/Ken Davitian, ma una volta arrivato in America rimane folgorato e perde la testa per le immagini televisive che mettono in mostra le giunoniche curve della sex symbol protagonista di Baywatch, Pamela Anderson. Da quel momento in poi, la sua permanenza negli USA sarà rivolta prevalentemente nella ricerca della Anderson, naturalmente per sposarla e il suo lavoro verrà così accantonato. Pare proprio che la prima edizione della Festa Internazionale del Cinema di Roma abbia finalmente sdoganato il mockumentary, dopo La vera leggenda di Tony Vilar, ecco un nuovo docu-fiction. La definizione più propria per Borat: Cultural Learnings of America for Make Benefit Glorious Nation of Kazakhstan è in realtà quella di mockumentary, ovvero falso documentario. Un genere ibrido dove elementi di “realtà” generano deviazioni assolutamente finte e irreali, completamente inventate (la nascita del mockumentary si fa risalire al 1957, quando la BBC nel programma People Like Us, in un apparentemente serissimo reportage dall’Italia mostrava alcuni contadini intenti a raccogliere spaghetti dagli alberi). Già dalla prima sequenza che descrive ironicamente i vari parenti, amici, conoscenti del giornalista kazako, si viene subito immessi in un contesto ironico. Dunque, il senso metaforico del titolo “Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan”, ci appare subito chiaro. L’acuto senso dell’humour di Charles è uno spassoso esempio di comicità verbale e visiva che soffre però in gran parte delle sequenze del film di didascalismo. Il film non nasconde il proprio carattere di work in progress: gran parte del materiale di Borat proviene, smontato e rimontato da situazioni assolutamente reali. Un susseguirsi di semplici skeches paratelevisivi sembrano essere il filo rosso che raccorda quest’ultimo lavoro di Larry Charles, tutti giocati su facili e scontate battute e gag disponibili a più situazioni che prendono di punta neri, ebrei, asiatici, politici, femministe, ecc.. Questi materiali permettono all’autore di mettere in luce lo zoccolo duro della cultura americana: i pregiudizi, i preconcetti e le falsità segrete e latenti di una politically correct. Tutto il film può leggersi come una sorta di compendio che illustra la sostanza assurda dell’ostilità, dell’odio e del pregiudizio. Naturalmente in una simile operazione non possono mancare forzature e volgarità così assurde che oltrepassano totalmente qualunque posizione provocatoria e offensiva. Borat: Cultural Learnings of America for Make Benefit Glorious Nation of Kazakhstan tenta di gettare una luce su una cultura ambigua e contraddittoria come quella americana, ma non sfugge alle mode e alle prassi di una facile quanto gratuita costruzione. Tutto puzza di vera ed elaborata drammaturgia. Con questi preamboli riusciranno i nostri eroici spettatori a mantenere il ritmo e a ridere di gusto per novanta minuti?
Articolo del
06/12/2006 -
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