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Presentato tra le Première alla Prima edizione della Festa Internazionale del Cinema di Roma, L’imbroglio – The Hoax di Lasse Hallstrom è un’altra pellicola di enorme attrazione – non così elitaria - di cui la neonata kermesse veltroniana si è ben addobbata. Al centro del plot hallstromiano ritorna l’enigmatica figura di Howard Hughes, l’eccentrico e stravagante miliardario, una delle persone più ricche del mondo, che era stato nientepopodimeno un celebre aviatore, un ingegnere, un industriale, un playboy, un produttore e un regista cinematografico, già al centro del bellissimo film di Martin Scorsese The Aviator. Il film sposa, però, in toto il punto di vista del personaggio di Clifford Irving/Richard Gere, la storia vera dello scrittore (il film di Orson Welles F come falso è costruito essenzialmente attorno a questo personaggio) che con il suo complice Dick Suskind/Alfred Molina negli anni ’70, divenne famoso per aver scritto una falsa biografia di Howard Hughes. Raggirando il mondo dell’editoria, Irving, vendette la biografia frutto di meticolose ricerche e quindi totalmente credibile, al famoso editore McGraw-Hill, ottennendo compensi astronomici. Irving, in realtà deve aver contato sul fatto che Hughes da molti anni ormai non aveva più nessun contatto con il mondo esterno, perché viveva da recluso nelle sue numerose case delle Bahamas o del Nevada. Il celebre miliardario, riuscì comunque a sua volta a scoprire l’imbroglio nel corso di una conferenza stampa telefonica e fece condannare Irving a due anni e mezzo di carcere e alla restituzione del denaro. Lo scrittore dal canto suo, rischiando di ingannare anche se stesso, sostenne fino in fondo l’esistenza di un rapporto con Hughes. A volte capita di trovarsi di fronte a opere che hanno il fiato corto, che non sono venute male, ma che l’operazione filmica è puramente sbagliata fin dalle fondamenta. Un inizio in cui manca il senso dell’operato. Testi che mettono in mostra nel corso della visione, tutta la loro inutilità e la debolezza che li fa nascere. L’imbroglio fallisce totalmente l’”avance” con la materia filmica. Lasse Hallstrom si adagia su una messa in scena semplicemente illustrativa, non ci sono guizzi autoriali, né velleità di scrittura. Perché alla luce dei fatti, L’imbroglio, altro non è che un lavoro nostalgico, senza segni di singolarità se non nella ricostruzione mirabile dell’ambiente (tutto rigorosamente Settanta, come anche i filmati d’epoca, dove emergono gli ambigui rapporti tra il presidente Nixon e Hughes, l’ipotesi che il miliardario avesse versato tangenti al fratello di Nixon, i misteri che determinarono in seguito lo scandalo Watergate, e materiale televisivo che punta il dito sulle lobby in generale) e nella scelta impeccabile per il ruolo di Richard Gere. La settima arte viene così utilizzata da Lasse Hallstrom come impaginazione del libro di Irving, come avviene spesso anche negli altri lavori del regista quando utilizza materiali letterari. S’è parlato de L’imbroglio come dell’ennesima opera di Lasse Hallstrom manierista, che tanto ha fatto la fortuna del regista svedese (vedi La mia vita a quattro zampe, Qualcosa di cui sparlare, Le regole della casa del sidro, Chocolat, Casanova, ecc. tranne il riuscito Buon Compleanno Mr. Grape). Così la piega presa dal suo cinema dovrebbe ormai essere chiara: la linearità e continuità dei suoi titoli va cercata in una formula produttiva legata al mainstream, titoli dal forte richiamo mediatico.
Articolo del
02/11/2006 -
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