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Passando le feste di Natale in una piccola città di provincia nel sud del Belpaese e non volendo rinunciare a rinchiudersi per un paio d’ore in una sala buia a contemplare uno schermo illuminato, le opzioni di scelta non sono obiettivamente molte: l’ennesimo Vanzina show, la solita storia animata, un film d’azione a stelle e strisce o il classico film comico-italiano-Vanzina alternativo-di Natale. Ho scelto quest’ultimo e ho pagato tredici euro (sei e mezzo per e me e sei e mezzo per la moglie) convinto di intrattenermi spensieratamente con uno dei miei gruppi comici preferiti: Aldo, Giovanni e Giacomo nella Leggenda di Al, John e Jack. Le partecipazioni televisive, gli spettacoli teatrali, le precedenti esperienze cinematografiche del gruppo mi avevano quasi sempre convinto, riuscendo a farmi ridere senza staccare definitivamente il cervello. Insomma, ero convinto di aver fatto la scelta giusta. Ero convinto, almeno fino al primo quarto d’ora di proiezione, poi ho cominciato a muovermi sempre più insofferente sulla poltrona: la storia non decollava, le gag comiche non trascinavano, l’affiatamento tra i tre non sembrava quello di sempre. A lasciarmi sperare in un recupero di inventiva solo l’impeccabilità di alcune scene d’ambiente (neanche di tutte) e qualche citazione scenica anni ’50 (la proiezione del fondale nelle scene riprese da dentro l’automobile). Ma non bastava: il film continuava a trascinarsi e io riuscivo appena a sorridere (devo però dirla tutta: nelle file dietro la mia, due coppie di fidanzatini si squartavano dalle risate, due anziani commentavano allegramente le scene e un ragazzotto ripeteva solerte tutte le battute alla sua bella…forse non ero riuscito a entrare nel meccanismo comico o forse ero stanco o forse…). Finito il film non potevo fare a meno di pensare alla solita produzione natalizia da contratto, senza difetti evidenti di forma ma con poca sostanza e, se posso aggiungere anche questo, senza particolari slanci creativi (tanto ormai il boom cinematografico delle feste è finito e queste poche righe critiche non nuoceranno particolarmente al botteghino… ammesso che ci sia qualcuno che le prenda sul serio!). Per completare il ritratto di un cinefilo snob, segnalo a quegli spettatori privilegiati che, non risiedendo in piccole città di provincia bensì in grandi e caotiche metropoli, possono usufruire di una buona rete di cineclub, due piccoli grandi film passati quasi inosservati nel grande circuito commerciale: lo scandinavo Elling (esemplare per semplicità stilistica e narrativa) e l’orientale Dolls (perla giapponese dell’(in)solito Takeshi Kitano: una fiaba amara ma coloratissima sull’amore che non lascia scelta…). Questi suggerimenti, ovviamente, nulla tolgono all’importanza di produzioni dirette ad un pubblico più ampio come quella di cui abbiamo or ora parlato: solo con i soldi di quest’ultime l’industria può permettersi anche progetti più piccoli e meno redditizi.
Articolo del
13/01/2003 -
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