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Action-movie. Si, certo. E che action-movie: da leccarsi i baffi. Ma anche una pellicola storico-politica – peraltro scritta da Charles Leavitt con la puntuale consulenza del documentarista Sorious Samura – lancinante e precisa. Mistura perfetta per raggiungere l’obiettivo: intrattenere informando (e sconvolgendo). Su fatti, peraltro, noti a pochissimi in questa nostra obesa parte del mondo.
“Blood Diamond” è un efficace manifesto sulla condizione di buona parte dell’Africa Sub-Sahariana. Si concentra sulle vicende della micidiale guerra civile in Sierra Leone degli anni ’90, è vero. Ma il valore emblematico è palese e pesante. In quelle vicende un soggetto che ha il fascino della morte scaraventa Danny Archer/Leonardo Di Caprio, ex mercenario della Rhodesia riciclatosi trafficante: vende armi ai ribelli-assassini del Ruf della Sierra Leone. Riscuote in cambio diamanti che trafuga illegalmente in Liberia. Da dove pregiati carichi partono incessantemente per un lungo giro del mondo che li ripulirà del sangue versato per estrarli e di quello che sarà versato grazie al loro scambio. Visto che, appunto, finanzieranno indirettamente le violenze. Fino ad approdare ad Anversa e alle grandi multinazionali che li commercializzano spacciandoli per diamanti puliti. Sofisticando fra l’altro il mercato, visto che ne contingentano la messa in vendita facendone beni rari quando, in effetti, le quantità trafficate sono notevoli.
Archer vive così da anni. Un bel giorno, però, viene beccato al confine. Finisce in carcere, dove incontra Solomon, pescatore del Mende il cui villaggio (e famiglia) sono stati sventrati dai ribelli. Finito a lavorare nelle miniere, Solomon ha trovato – e seppellito nella foresta, a rischio della vita – un enorme diamante rosa. Archer ne viene a conoscenza, lo punta, e – usciti di galera - la vicenda decolla: con un paese ridotto in frantumi e la capitale, Freetown, assediata da bande di pazzi che sfruttano centinaia di bambini-soldato, i due fanno un patto: Archer ritroverà moglie e figli di Solomon, finiti nel frattempo in uno sterminato (ed impressionante) campo-profughi. In cambio, il pescatore condurrà il cinico trafficante al nascondiglio. I proventi della vendita del diamante saranno poi divisi – anche se è chiarissimo che Archer punti a fregare il pescatore.
Qui parte una specie di road-movie bellico (qualcuno ricorda “I quattro dell’Oca selvaggia”? Non dico che siamo lì, ma insomma si parte da lì) di altissimo livello - la fotografia sfrutta furbescamente tutto lo sfruttabile - ed estremamente credibile, grazie a scenografie e costumi perfetti. Ma anche in virtù di continue e polverose scene di massa e massacranti sequenze di guerriglia urbana. Nonché ad un’orgia di campi lunghi e lunghissimi, di panoramiche con cui il "samurai" Edward Zwick racconta furiosamente la risalita del trio - nel frattempo ai due si è unita una tosta ed idealista giornalista che alla fine certificherà con uno scoop mondiale il sanguinario equilibrio dei diamanti – e poi ancora della coppia, fino al ritrovamento del diamante e alla precipitosa fuga nella quale Archer lascerà le penne. In un finale forse un po’ troppo hollywoodiano e con una punta di miele fuori luogo, ma in cui non sta certo il senso del film. Anzi.
Il senso sta appunto in un film di “guerriglia” a sfondo sociale: che poi lo sviluppo tenda al patinato – ma non è neanche troppo vero: inquadrature e riprese mosse, carrellate paurose stile “Black Hawk Down” – più che all’indie, è poca cosa. Il quadro che ne esce è infatti sorprendentemente fluido, pur innestando diverse aspirazioni: intrattenere con le sequenza marcatamente guerresche e con i chilometri di pellicola spesi per il meritato candidato all’Oscar Di Caprio; scioccare con le parti relative alle violenze del Ruf e alle drammatiche questioni dei bambini-soldato drogati – sviluppata, quest’ultima, grazie alla storia nella storia di Dia, il figlio di Solomon. Ma soprattutto, attraverso la voce della giornalista d’assalto/grillo parlante Maddy/Jennifer Connelly, gettare sul tappeto l’irrisolta questione del diamanti di sangue e delle multinazionali che cavalcano la situazione, finanziandola ed incancrenendola giorno dopo giorno.
E’ vero: l’uscita natalizia statunitense ha mandato il torrone di traverso a decine di manager della De Beers, a frotte di gioiellieri e addirittura al povero Mandela che coi diamanti ci porta avanti una nazione.
Ma il vero, unico destinatario è l’acquirente medio occidentale: che per ogni diamante che dura una vita, ne distrugge migliaia. Imperdibile.
Articolo del
30/01/2007 -
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