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Tre giorni nella vita di un uomo non sono niente. Provate a guardarvi indietro e contare: uno due e tre, e di loro più nessuna memoria. Nell’ultimo film di Patrice Leconte, tuttavia, questa rapida e meccanica successione incorre in un inciampo, viene imprevedibilmente sabotata trasformandosi in una lunghissima, quasi interminabile sfida al tempo e al destino. Una lotta durante la quale un vecchio insegnante di lettere in pensione e un rapinatore solitario, incontrandosi per caso in uno sperduto paesino della provincia meridionale francese, poco a poco, conoscendosi, finiscono per desiderare, per sognare di vivere l’esistenza dell’altro. Più che uno scambio di personalità, Leconte ci racconta il confronto ironico, leggero e poetico tra due vite sideralmente lontane, quanto mai opposte, le quali, tuttavia, forse proprio per questo, messe l’una di fronte all’altra, si mettono alla ricerca di ciò che non sono, di ciò che non sono mai state, di ciò che non hanno mai potuto o voluto essere: quell’altro appunto che il rude, impavido e taciturno rapinatore rappresenta per il fine, logorroico e pantofolaro professore, e viceversa. L’incontro tra i due allora pian piano diventa un viaggio nell’eterno dilemma dell’essere o non essere, nei rimorsi e nei sogni mancati di due esistenze che ad un certo punto scoprono la possibilità di invertire il fato ed essere diverse da quelle che sono state fino ad allora. Messo tra parentesi per tre giorni, però, il destino si presenterà di nuovo quando, alla fine del viaggio, i due si ritroveranno ancora una volta di fronte all’immancabile bivio: ognuno dovrà necessariamente riprendere la propria strada, ma… Leconte pur non rinunciando all’irrinunciabile matrice esistenzialista del cinema d’oltralpe, mette su una gobilissima commedia d’autore, una colta favola contemporanea, piena di humour e poesia, in cui si ride e ci si commuove, e nella quale vanno senz’altro sottolineate le ottime prove di un attore navigato come Jean Rochefort, e di un debuttante d’eccezione come il cantante inglese Johnny Hallyday, entrambi bravissimi a rendere lo spirito e le sfumature dei rispettivi personaggi interpretati. A proposito di musica, infine, da segnalare è anche la traccia sonora di sottofondo di Paul Esteve, uno splendido blues che rende alla perfezione la surrealtà e la malinconia dell’incontro tra un vecchio professore chiacchierone e uno stanco bandito silenzi
Articolo del
27/01/2003 -
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