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Privilegia il linguaggio del documentario la ballerina-attrice-regista Barbara Cupisti, che si prefigge con Madri, presentato in concorso alla 64 Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti Doc, di parlare dell’antico conflitto israelo-palestinese, avvalendosi come filo conduttore delle madri di ambedue gli schieramenti, accomunate dalla straziante perdita di un figlio. Novanta minuti di scioccanti e commoventi ritratti femminili, testimonianze che trasmettono attraverso i drammi privati delle vittime una riflessione pacifista su una guerra infinita. Madri israeliane e palestinesi, le grandi escluse dalla cultura e dalla società araba, straziate dalla perdita di un figlio, che nel dolore universale agiscono insieme, perché sanno che esiste un’altra via al conflitto tra i due popoli. Iniziando da oggi e non dalla storia “le madri possono edificare un ponte”, agire insieme per la pace, e la ricostruzione è il loro messaggio di conciliazione che passa attraverso la telecamera. La Cupisti ci ricorda, inoltre, che sono sempre le donne di entrambi gli allineamenti che hanno fondato una organizzazione no profit, Parent’s Circle, un associazione accreditata all’Onu, che mette insieme genitori palestinesi ed israeliani per aiutare le famiglie a superare la sofferenza dal lutto, per poi ricominciare a pensare congiuntamente una possibile soluzione per le generazioni future. La regista si aggira con disinvoltura, nonostante le difficoltà pratiche negli spostamenti in un luogo occupato nei territori di Israele, Palestina e Gaza, accompagnata dalla sola organizzatrice. Senza giudicare e senza intenti ideologici, la Cupisti, lascia parlare le madri per dare spazio e verità alle loro parole (c’è chi ha perso cinque persone in una sola volta, una famiglia intera decimata e chi invece piange il figlio kamikaze). L’esigenza di indagare la realtà dall’interno, escludendo la tipica scena dell’intervista, ha permesso ai volti, ai corpi, alle voci delle madri di raccontare e raccontarsi la stessa tragedia, ma anche la stessa speranza, una via alternativa all’odio e al risentimento (emblematica la scena finale in cui le madri palestinesi si incontrano con le madri israeliane) senza i preconcetti dell’autore. Le madri palestinesi e israeliane si confrontano così con la telecamera, senza l’intromissione dell’intervistatore e senza la mediazione di un set, e raccontano il dolore, la violenza di una guerra inutile. I loro volti recano i segni dell’esistenza angosciante che scivola nelle loro parole, nei propri racconti e nei ricordi. I primi o primissimi piani delle madri che ricostruiscono di fronte alla camera la propria tragica storia, sono a colori, testimonianze di vita che vengono inframmezzate da filmati di repertorio e da materiale video privato, attimi di vissuto dei loro figli ancora in vita. Quest’ultimo materiale, invece, è divorato da un colore elettronico, immagini sfocate, quasi spettrali, la tragedia colta nella sua profondità più vera. Sono ritratti in cui la regista tira fuori una componente fondamentale: la capacità di ascolto e di rapporto con le persone. Uno sguardo non precostituito che sa cogliere con grande sensibilità una testimonianza diretta in un ambito che scotta moltissimo, cercando l’assoluta equidistanza tra le parti in causa.
Articolo del
24/09/2007 -
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