|
Parto dalla fine. Dal forte piano-sequenza conclusivo. Durante il quale il faccendiere Michael Clayton, per la gioia di Lombroso, vive una profonda mutazione fisiognomica, chiuso in un taxi. A parte che non vedo altri che potrebbero permettersi una sequenza del genere - forse solo Johnny Depp, ma è troppo piacione - c’è da dire che il film riposa tutto lì. Nelle successive ed impercettibili movenze del volto di un grigio e stanco George Clooney. Nel ruolo uno che non fa miracoli. Che fa solo le pulizie. Beccato nel meritato riposo, dopo le pulizie finali.
Certo. L’impianto è quello del classicissimo legal thriller che tante serate c’ha fatto trascorrere sul divano assieme ai nostri genitori – da Il Socio a Tutti gli uomini del presidente fino alle sfumature ambientaliste, che stanno bene anche in questo caso, di Erin Brokovich. M’aspettavo quasi che da un momento all’altro saltasse fuori l’onnipresente Denzel (Washington). E’ anche vero, però, che proprio muovendosi nei filoni più rigidi si rischia di più di planare sulla mediocrità. E allora Tony Gilroy, maestro della sceneggiatura blockbuster basti citare la saga di Jason Bourne, un paio di cartucce le spara senza troppo pensarci, finendo col cospargere Michael Clayton (pare che in questo filone i titoli onomastici siano un'abitudine) più di odori anni ’90 che contemporanei. Insomma: ho ripensato a mio padre che leggeva Scott Turow e John Grisham mentre aspettava che uscissi dal judo. Ma questa è un’altra storia. Dicevo, due cartucce: l’ambientazione. Fra i grattacieli di Midtown, tutto aereo, non si vede un portone. Negli interni si entra dal cielo. E poi, però, certe fughe periferiche nell’America più grigetta (la casa di Clayton, la sua forsennata corsa in auto, la fattoria di Anna). Il tutto confezionato spesso in notturna. Con una fotografia molto attenta a farsi brizzolata come la capigliatura dell’azzeccagarbugli Clooney. Altro aspetto, appunto, la riflessione intorno alla figura del faccendiere con le mani sporche. Del tuttofare che ne sa una più del diavolo. E, soprattutto, del suo contraddittorio conflitto morale, che nemmeno lui sa bel decodificare. Ma che gli suggerisce – con grande difficoltà – che così non si può andare avanti.
Il plot è semplice: lo studio legale per cui Clayton lavora deve difendere la U/North, multinazionale della chimica, da una class action. La società è accusata di aver commercializzato un fertilizzante stracolmo di effetti collaterali che ha provocato casini alla terra e ai corpi – attraverso l’acqua - di tante persone. Il coordinamento della difesa è affidato ad uno dei due soci fondatori della società, nei panni del bravo Tom Wilkinson. Il quale, però, di punto in bianco esce di testa, in una sorta di redenzione mistica contro ciò che ha fatto per una vita – interessante la discussione arendtiana sul ruolo di chi maneggia carte, documenti e verità legali. E decide, in una sorta di confusione alla Saulo di Tarso, di passare dall’altra parte e raccogliere documentazioni utili all’accusa. Michael Clayton viene incaricato di riportarlo sulla buona strada. Pena: la perdita di una causa che potrebbe valere miliardi. Da tenere sott'occhio per la nostra storia: i debiti di gioco e gli strambi investimenti di Clayton. Al quale servono soldi. Nel frattempo, viene avviata un’operazione parallela da parte della U/North – rappresentata dal bulldog Tilda Swinton, spietato ed androgino legale rappresentante: se le cose dovessero mettersi male – e guarda un po' sarà così – il socio Tom Wilkinson dev’essere tolto di mezzo.
Clooney regge il film alla grande. E’ lui, il film. Lo tira in alto, appunto, in un genere tanto battuto. Gli tiene testa solo un sufficientemente ambiguo Sidney Pollack, nei panni dell’altro socio dello studio. Il finale – davvero ben scritto, prima che filmato – contribuisce a fare di Michael Clayton non certo un capolavoro. Ma senz’altro un caposaldo del genere. Con un sostrato, per così dire, para-filosofico, tutto concentrato a scavare sulle regole della verità, ben più accentuato che in altre pellicole. E scusate se è poco.
Articolo del
11/10/2007 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|