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Warren Schmidt è un neopensionato di 66 anni, sposato da 42, con una figlia che vive in un’altra città degli U.S.A. Una vita comune a tante altre, una carriera ammirevole, una casa, un’esistenza presumibilmente felice. Tutto questo fino all'ultimo giorno di lavoro del protagonista, un giorno di svolta che lo porta a rivisitare a ritroso tutto il suo percorso di uomo. Egli scoprirà in questo modo particolari oscuri della sua vita e delle persone che ha avuto a fianco andando incontro ad un declino inevitabile. Warren cerca di (ri)trovare un’identità persa nei meandri della quotidianità e dei ruoli sociali prefissati. In questa sua rilettura esistenziale, adotta a distanza un bambino orfano e ridotto alla fame a cui scrive continuamente del viaggio in camper che, finalmente, si è concesso. Il film procede e arriva ad una conclusione prevedibile ma non retorica. Nella sua complessità "A proposito di Schmidt" è decisamente poco omogeneo, incostante nel ritmo, monotono nella tematica. Jack Nickolson, candidato per questo film all’Oscar come migliore attore protagonista, dà, per l’ennesima volta, una eccellente prova di sé, ma il film (nel complesso) non è davvero alla sua altezza. Poco delicata la scelta di raccontare ad un bambino, di appena sei anni, orfano, del Terzo Mondo i suoi problemi di manager in pensione, i suoi conflitti con la figlia; fastidioso agli occhi di un pubblico sensibile il suo trascurare assolutamente le condizioni del piccolo Nakubun; ridicola la sua commozione finale di fronte ad un disegno fatto dal “figlio a distanza”. La scelta di questa improvvisa “adozione” non trova spiegazione nello svilupparsi della storia e risulta, alla fine, il consueto elemento patetico che strappa le lacrime ad un pubblico annoiato da una vicenda che non sembra evolversi in nessuna direzione. Già, perché al di là delle poche scene comiche, ci troviamo di fronte ad una serie di argomenti appena abbozzati, ad una definizione della psicologia dei personaggi molto superficiale. Passiamo dalla “tragedia” della pensione di Warren, alla tragedia reale della morte della moglie, alla scoperta dell’infedeltà di quest’ultima, all’indifferenza della figlia…ex abrupto passiamo da un tema ad un altro senza trovare congruenza: l'impressione è quella di essere all’inizio di una vicenda di cui si perdono uno ad uno i pezzi. La solitudine è la protagonista indiscussa di questo film, anche se è smascherata fin dall’inizio e non conosce sfumature. I personaggi che accompagnano Warren in questo viaggio sono, paradossalmente, meglio rappresentati, meglio delineati, ma in modo indipendente dalla storia e dal protagonista; ogni elemento di questo film sembra essere concepito in modo a se stante dagli altri e il risultato è visibile nella poca articolazione delle scene che disorientano lo spettatore di fronte ai vari elementi sparsi casualmente nell’andare avanti del film. Se si aggiunge a tutto questo anche un pessimo doppiaggio, si comprende il perché di un risultato davvero deludente.
Articolo del
10/03/2003 -
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