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Una delle regole ferree del gioco del calcio vecchia maniera, ma ancora in auge, vede l’allenatore propenso a schierare sempre la stessa formazione in grado di garantire la vittoria. “Squadra che vince, non si cambia”. Probabilmente è il medesimo ragionamento fatto da Judd Apatow, regista di Molto incinta. Che schiera nel cast, promosso a protagonista, quel Seth Rogen già visto in 40 anni vergine. Stavolta, spalleggiato dalla bella Katherine Heigl, nota al pubblico televisivo come una delle protagoniste della serie tv Grey’s Anatomy e anche grazie a una serie di personaggi collaterali provenienti da film satellite di successo (Superbad).
Il risultato è una commedia piacevole, fuori dagli schemi della tradizione Usa ma ben radicata nel modo di fare cinema, ormai affidabile e gustoso, di Apatow. Ovvero, una continuazione del ritratto filo-demenziale dell’outsider americano alle prese con le piccole-grandi bruttezze della Vita. In questo caso incarnato da Ben Stone, ventitreenne sovrappeso allo sbaraglio, e dai quattro amici con cui condivide un’esistenza all’insegna dell’eterna adolescenza in pieno sboccio ormonale. Agli antipodi c’è Alison Scott, bella e giovane giornalista in carriera di buona famiglia, che decide di festeggiare una promozione sul lavoro nel più classico dei modi. Sesso e alcol. L’incontro dei due – prima, nel locale, poi, nel letto - sembra il tipico “una botta e via”. Ma le conseguenze “catastrofiche” non si faranno attendere - e sono ben anticipate dal titolo (italiano). Fatto il misfatto ecco che la trama è servita.
Ciò che lascia perplessi è la durata: decisamente atipica, per una commedia che dovrebbe entrare dalla porta d’ingresso nel tritatissimo filone porky-adolescenziale. Ma che invece – a sorpresa e per fortuna - si rifà più alla comicità di Animal Farm che ad American Pie. Che tratta argomenti scottanti come la gravidanza inattesa e l’aborto e che mette al centro del sorridere il disagio dell’americano medio, adolescente o meno, di fronte a problemi che travolgono il suo precario equilibrio quotidiano.
Il film, comunque, regge l’inusitata durata inanellando una serie di gag riuscite e di situazioni più o meno imbarazzanti. Anche se, probabilmente, il ritmo non è sempre sostenuto come ci si aspetterebbe da una commedia. Tuttavia, quel che colpisce sono in primo luogo i personaggi, ben descritti e soprattutto “utili”. La banda di squinternati che spalleggia Ben è infatti talmente assurda da non poter non piacere, così come la famiglia della sorella di Alison è necessaria per intavolare un parallelo e permettere uno sviluppo inatteso ai protagonisti. Una vera crescita. Perché, alla fine, di un film sulla maturazione si tratta. Una pellicola sulla presa di responsabilità e sul dover far fronte all’imprevedibilità della vita. Riuscire a inserire temi di questo genere in un prodotto destinato alle grandi platee senza cascare per forza negli stereotipi di sempre, merita un riconoscimento. Ideale per una serata al cinema tra amici. Con qualche spunto un po’ più serio su cui parlare all’uscita.
Articolo del
25/10/2007 -
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