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Inutile menare il can per l’aia: è assurdo voler resuscitare il Western. Una banalità trita e ritrita? Forse. Ma nel loro profondo le banalità, per quanto insopportabili, nascondono delle piccole verità. Già il fatto di riproporre una pellicola uscita esattamente mezzo secolo fa è significativo: il Western non può fare altro che ri-raccontare se stesso, tentando solo di rieditarsi per tenersi aggrappato ai tempi?
Stavolta la persona che tenta il disperato massaggio cardiaco sul genere moribondo è James Mangold, il famigerato cineasta che ha lanciato nell’Olimpo cinematografico Angelina Jolie, regalandole (è la parola giusta) un Oscar per Ragazze interrotte ben otto anni fa. Ma anche l’uomo che ha sottoposto al pubblico mondiale una smagliante ed edulcorata biografia di Johnny Cash (Walk the Line).
In Quel treno per Yuma Mangold rende omaggio a Delmer Daves, il regista della pellicola originale, uno dei maestri del genere. Ma, prevedibilmente, va oltre: come resistere, infatti, alla tentazione di infilarci Sergio Leone, creando il solito pasticcio postmoderno di citazioni? La storia è già nota da cinquant'anni: un modesto colono a corto di denaro accetta di scortare un pericoloso fuorilegge fino alla più vicina stazione ferroviaria, per fargli prendere il treno e spedirlo in galera: ma i seguaci del bandito tenteranno in ogni modo di liberarlo prima che il fatale convoglio arrivi.
Il gladiatore bamboccione Russell Crowe (che sostituisce il compianto Glenn Ford) fa del suo meglio per ritrarre il fascinoso bandito dalla moralità ambigua, che il pubblico non riesce ad odiare fino in fondo. Il regista ha facile gioco nel farlo risaltare ponendo accanto a lui personaggi ancora più disprezzabili: l’assai più credibile Christian Bale (ex magnifico Batman) è il povero colono zoppo, con una famiglia da mantenere e un figlioletto intraprendente che è più attratto dal savoir-faire del cattivo che dalla passiva onestà del padre. Tra i ruoli secondari spicca lo psicotico e (neanche troppo velatamente) omosessuale braccio destro del bandito, interpretato dall’ex Angelo degli X-Men, Ben Foster. E’ proprio lui ad incarnare in negativo tutti i difetti del film: le sue sparatorie brutali, cruente e gratuite (ma non solo le sue), vorrebbero essere debitrici di Leone e di Volonté, ma restano solo un patinato esercizio di stile, che si affida alla macchina da presa e alla superiorità odierna degli effetti visivi e sonori per ricreare il fantasma di un mito che, come tale, è destinato solo a sterili rivisitazioni. Le esibizioni di bravura dei vari banditi nel maneggiare la Colt (mai stata così feticcio, a cominciare da quella di Crowe, gratuitamente battezzata “La Mano di Dio”) risultano insopportabili, perché inserite a forza in un contesto neo-western per definizione realistico e, appunto, demitizzante.
Sorvolando questi particolari non da poco, il resto è hollywoodiana routine. Per i veri intenditori e i palati più attenti, il miglior Western di questi ultimi anni va cercato altrove: in TV, con serie come Deadwood e Broken Trail.
Articolo del
29/10/2007 -
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