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Arrivati a una certa età è normale fare un bilancio della propria vita, di ciò che si è riusciti a portare a termine e di cosa invece poteva essere fatto diversamente. Vale per tutti e per tutto: l’amore, il lavoro, la famiglia. Spesso sono le cose andate storte a catturare la nostra attenzione e a far nascere il rimpianto, il desiderio di una seconda opportunità. Poter tornare indietro, ricominciare da capo per portare a termine “l’opera” nel migliore dei modi.
E’ questo che pensa Dominic Matei (uno stupendo Tim Roth), linguista orientalista, settantenne fuori tempo massimo alla ricerca della forma più primitiva del linguaggio. 1938. Camminando per le strade di Bucarest, un fulmine, colpendolo, cambia la sua vita per sempre, restituendogli incredibilmente la giovinezza lontana.
Da questa semplice, ma efficace riflessione nasce l’ultimo film scritto, prodotto e diretto da Francis Ford Coppola con la sua American Zoetrope, a distanza di dieci anni dall’ultimo lavoro per il grande schermo. Un’altra giovinezza, presentato pochi giorni fa alla Festa del Cinema di Roma, è dunque la storia di un uomo a cui è concessa una seconda possibilità. La ricerca di Dominic è una missione universale, un desiderio che può essere realizzato, inizialmente, attraverso un evento incredibile: il suo sopravvivere a un fulmine. Arriva poi l’azione, con la fuga dai nazisti e dalla guerra, complice l’amico dottore (Bruno Ganz). E la svolta soprannaturale, con la scoperta da parte di Dominic delle sue nuove abilità psichiche che lo rendono un superuomo effettivo, l’ideale nazista incarnato, isolato dal resto del mondo. L’incontro con Veronica (Alexandra Maria Laura) sovvertirà nuovamente l’equilibrio raggiunto. Clone di Laura, antico amore incompiuto di Dominic, Veronica è vittima di un incidente che la trasforma incredibilmente nell’incarnazione di una vecchia indiana di nome Rupini. Solo attraverso la sua miracolosa abilità Dominic potrà decifrare il viaggio a ritroso di Veronica/Rupini verso un linguaggio primordiale, veicolo utile per lo studio dell’origine della lingua. Tutto si trasforma in una storia d’amore e di sacrificio tra due persone atipiche.
S’intravede allora il significato della “seconda chance”, un tentativo di poter diventare quello che si vorrebbe essere: uomini compiuti e felici. La fotografia, chiavistello filmico per eccellenza, gioca un ruolo interessante cambiando tonalità in base all’azione e all’ambiente e gestendo magistralmente gli stili di ripresa, alternando il classico campo, controcampo e totale a riprese più sperimentali quando entra in scena il doppio e il soprannaturale. Coppola, poi, decide di sostenere la storia contestualizzando ogni momento con date ed eventi reali, come, appunto, la guerra. Una mossa molto intelligente che rende il film più verosimile pur nelle diverse svolte soprannaturali. Condizione essenziale per l’immedesimazione, mai così necessaria.
Già, perché è questo lo scopo del gioco: permettere allo spettatore di entrare nella storia in modo totale, condividendo le riflessioni ed i pensieri di Dominic, ormai in grado di parlare solo con sé stesso in una sorta di doppio, una coscienza visibile. Ed è forse in questo che il film pecca, difetto d'altronde comune a molte pellicole col timbro “d’autore”: l’eccessiva fiducia nella comprensione di tutto, la voglia di mostrare idee troppo elaborate e troppo aperte a così tante interpretazioni da rischiare di sfilacciarsi. Va riconosciuto a Coppola il coraggio di trattare temi così importanti, ma è forse vero che per lo spettatore medio uscire dal cinema facendo fatica a trovare una spiegazione, un significato preciso, non è puro piacere intellettualistico. Spesso (purtroppo) è solamente fastidio. Matt Damon, non accreditato, compare in una piccola parte.
Articolo del
05/11/2007 -
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