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Tre donne. Tre storie. Un romanzo. Tre piani temporali differenti che si incastrano fra di loro in un film interamente incentrato sull’universo femminile e sul (suo) male di vivere. La scelta fra vivere e morire si biforca in una serie di bivi dalle difficili (o impossibili) scelte: il vivere realmente o il condurre vite fasulle; l’essere madre o l’essere libere di vivere la propria individualità rinunciando (obbligatoriamente) alla maternità; la solitudine o l’amore abitudinario, quotidiano. Ognuna di queste scelte implica un viaggio nel dolore e nella sofferenza della finitudine umana. Tre attrici di enorme talento sono l’emblema di questo film: Meryl Streep, Nicole Kidman (in una straordinaria interpretazione) e Julianne Moore interpretano in modo brillante delle figure di donne depresse, malate e alla inarrestabile ricerca di un’esistenza ricca di sentimenti, profonda, assetata della stessa vita. Le protagoniste vivono vicende in un certo qual modo parallele, che sembrano intrecciarsi, influenzarsi, coinvolgersi l’un l’altra in un’atmosfera che assume caratteristiche quasi paranormali. Tratto dal romanzo omonimo di Michael Cunningham, The Hours crea un sistema di piani temporali che si sovrappongono fra di loro e generano un gioco di specchi in cui la stessa temporalità si disperde nel simbolismo. Il malessere di Victoria, Clarissa e Laura, così strettamente vicino l’uno all’altro, si incammina verso un male di vivere che affonda le sue radici nell’esistenza stessa, incarna il Dolore nella sua totalità e nella sua disperazione. The hours ci illustra la tragicità di una malattia che contamina ogni via di fuga, ogni salvezza. Nella sua ridondanza tematica il film è un po’ troppo lento, un po’ troppo pesante; le scene, la fotografia, il gioco di spazi temporali non riescono a supplire a una storia in cui avviene poco e in cui si sa quasi tutto in poche scene. Non c’è un evolversi cioè, non c’è un’analisi approfondita. Il tema della malattia è avvincente ma forse concentrato troppo, fin dal principio, sulla sua fine. Una fine in cui a pagare sarà l’universo maschile: abbandonato, trascurato, sfruttato. Tre è il numero di questo film, ma non evoca in nessun modo la trinità e la sua salvezza. Il desiderio di vivere a pieno la propria esistenza, infatti, genera una malattia e di essa si nutre. L’unica possibilità di uscita risulta essere la morte stessa: o la propria o quella di una persona cara. In un vortice interminabile di angoscia.
Articolo del
13/03/2003 -
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