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Terzo capitolo della serie targata Universal dedicata a Jason Bourne e alla ricerca della sua identità, secondo affidato alla regia di Paul Greengrass. Bourne (Matt Damon), personaggio nato dalla penna di Robert Ludlum, ritorna dove tutto ha avuto inizio, negli Stati Uniti. Deve fare luce su un programma segreto della CIA denominato Blackbriar, elemento chiave per dare una risposta ai quesiti rimasti in sospeso, ai buchi non ancora chiariti. La caccia a Bourne questa volta è orchestrata dal numero due dell’Agenzia Noah Vosen (David Stratahirn), preoccupato per un fuga di notizie che potrebbe travolgere l'organizzazione. Ad aiutarlo Pamela Landy e da Nicky Parson (rispettivamente Joan Allen e Julia Stiles, già vista nei precedenti episodi) nei panni della spalla di Bourne.
Un ritorno a casa in grande stile, ricco di rimandi e suspense, ma soprattutto d’azione. Strutturato in modo semplice in tre maxi-capitoli su cui s’innestano le diverse sequenze, il terzo capitolo della saga attacca con un ritmo forsennato per poi dilatarsi e contrarsi in funzione della narrazione, anche grazie al montaggio micidiale di Christopher Rouse. Greengrass prosegue sulla linea tracciata in The Bourne Supremacy, innovativo per l’immagine grezza ed il piglio deciso. Caratteristiche qui riproposte ed esaltate da uno stile di regia sempre più teso e maturo.
Greengrass, esordiente con il bellissimo Sunday Bloody Sunday, ha trovato la consacrazione con United 93, primo film dedicato alla strage dell’11 settembre. In The Bourne Ultimatum si dimostra cineasta completo e padrone del mezzo, marchiato da uno stile fatto di camera a mano e riprese sgranate (fotografia di Oliver Wood), asciutto come la sceneggiatura del sempre più interessante Tony Gilroy. Neo regista del recente Michael Clayton, Gilroy è autore di uno script teso a privilegiare l’azione rispetto ai dialoghi, che chiude il cerchio con i primi due capitoli mantenendo intatta la struttura portante tipica della serie, fatta di allucinanti inseguimenti con ogni mezzo. Tra le folli corse, spicca la caccia all’uomo per i tetti di Tangeri (Marocco). The Bourne Supremacy si era interrotto con Jason Bourne già a New York e pronto alla vendetta, scena che compare a metà di The Bourne Ultimatum rendendo la prima parte del film una sorta di passo indietro, preparazione al gran finale di respiro epico. Grandissimo lavoro del reparto effetti visivi, perfettamente efficaci perché mai evidenti, e degli stuntmen, chiamati ad operare acrobazie al limite dell’impossibile con coordinazione sovrumana.
Un film di spettacolo diretto magistralmente. Intrattenimento in perfetto stile action-movie che si pone come punto di riferimento per un genere che ultimamente (vedi il pessimo Live Free or Die hard o l’altalenante Mission: Impossible) aveva mostrato il fianco, cedendo alla tentazione di ricorrere esclusivamente all’effetto digitale e trascurando la costruzioni di atmosfere di suspense e tensione. Un nuovo modo di intendere la spy story dopo l’egemonia Bondiana di decennale memoria. La canzone finale di Moby, Extreme Ways, è la stessa che conclude i due film precedenti. Doug Liman, regista di The Bourne Identity, compare qui come produttore esecutivo.
Articolo del
12/11/2007 -
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