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I film in costume sono tra i principali bersagli dello spettatore comune, quando si tratta di bollare una pellicola come “noiosa”: spesso l’atmosfera rigida e formale di questi lavori, il ritmo (che si usa definire, senza cognizione) lento, il sontuoso lusso dei costumi vanno a braccetto con gli sbadigli e le insofferenze del pubblico. Tuttavia, l’emozionante saga del regista indiano Shekhar Kapur legata alla più grande regina inglese di tutti i tempi è sempre stato un caso a parte. E se da un lato forse non mancano le caratteristiche (davvero negative, poi?) sopra elencate, Elizabeth: The Golden Age ha molte frecce positive al suo arco. A patto di lasciare i manuali di Storia ben chiusi sulla scrivania, e di farsi trascinare da un roboante e assai soggettivo affresco storico.
Nove anni fa il primo capitolo, Elizabeth, che aveva narrato l’ascesa a un trono irto di pericoli da parte della regina vergine, e che parallelamente aveva fatto salire nell’Olimpo delle grandi attrici un’australiana allora sconosciuta, Cate Blanchett. Oggi la camaleontica Blanchett, dopo un Oscar, dopo i successi a Venezia e a Roma, è (nel modesto parere di chi scrive) la più grande attrice vivente sotto i quaranta. La sua identificazione con la figura storica di Elisabetta è semplicemente impressionante: capace di coniugare, proprio come il personaggio richiede, una donna autoritaria e nello stesso tempo incline alle passioni, alle debolezze e alle paure per il suo incerto futuro.
Il grande fascino storico di Elisabetta sta forse proprio in questa incertezza, ovvero nel fatto che una donna si sia ritrovata al timone di un Impero da sola, in un mondo ultramisogino, e senza il basilare appoggio della Chiesa Cattolica: a pensarci bene non si riesce a immaginare una situazione più disperatamente “precaria” di questa, per governare una super-potenza quale il Regno Unito. La base della formula di Golden Age (ma anche del film precedente, che si muoveva sugli stessi binari) è questa: l’Età d’Oro del futuro Impero britannico nasce inaspettatamente dalla fragilità e dalla perseveranza di una donna, di questa donna. I complotti cattolici per rovesciare il suo trono falliscono, le lusinghe sentimentali dei suoi amanti vengono respinte e soffocate, una tempesta marina spazza via l’intera flotta della potentissima Spagna, e l’Inghilterra risorge in tutta la sua potenza.
Tutto questo si traduce in una pellicola senz’altro esaltata e agiografica nell’approccio, ma indubbiamente coinvolgente: se si è disposti a chiudere un occhio sulle imprecisioni e sui rimaneggiamenti della Storia - orchestrati a favore della nostra eroina -, ci si lascia facilmente rapire da una narrazione così appassionata. L’aspetto che forse può colpire di più il senso critico è l’identificazione della Chiesa Cattolica con il Male (che poi, nell’odierna epoca del Codice da Vinci, non sorprende più di tanto). Kapur, per fare più grande la sua protagonista, ha bisogno di un altrettanto grande “cattivo”: re Filippo II di Spagna, che prega devoto nelle cattedrali, inveisce con sguardi folli verso la sovrana inglese, e soprattutto, come un vampiro, rifugge la luce del sole. Luce del sole che invece bagna sempre abbondantemente le preziose stoffe che vestono la regina. Inoltre, come nel primo episodio, salta fuori un nuovo interesse romantico per la protagonista, incarnazione di un altro asse della saga (il conflitto Amore/Dovere): il fascinoso esploratore Sir Walter Raleigh (Clive Owen, purtroppo qui espressivo come Big Jim vestito a festa).
Ecco dunque Elizabeth: la Storia vista dagli occhi semplifica(n)ti del Cinema, dove devono sempre esistere degli Eroi e il Male viene sconfitto. Ma un semplice spettatore, senza troppi “grilli storici” per la testa e col manuale scordato a casa, non può chiedere di meglio.
Articolo del
15/11/2007 -
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