|
ANTEPRIMA EXTRA! Dalla nostra corrispondente a Parigi.
Ancora una volta Woody Allen torna a percorrere un sentiero nevralgico, spinto maggiormente verso il romanzesco, dove la traiettoria filmica si mescola inevitabilmente con un retroterra culturale libresco molto forte. Dopo Match Point e Scoop, Il sogno di Cassandra sembra inserirsi interamente in questa fantomatica trilogia del Peccato e della sua conseguente espiazione.
Ambientato nella capitale britannica, la pellicola racconta la storia dalla quale si schiuderà la loro stessa rovina. Cast d'eccezione con Colin Farrell e Ewan McGregor a incarnare i due fratelli Ian e Terry, l'uno caratterizzato per la sua semplicità e modestia, l'altro per l'ambizione e la ricerca spasmodica del successo. Attorno ai due personaggi ruotano due figure femminili: quella della protettiva e inconsapevole Sally Hawkins, una giovane di ceto medio-basso, e Hayley Atwell nelle vesti dell'affascinante attrice alla ricerca della fortuna.
Quello di Woody Allen è l'ennesimo tentativo di avvicinarsi a un genere nuovo, complesso, nel quale la componente intima si svela con forza e ossessione. I personaggi si muovono nel corso delle scene con cadenze quasi manieristiche. La stessa recitazione dà l'impressione di essere stata impostata su di un altro livello, a metà tra una modalità oramai sorpassata di rappresentare l'azione e la forza originale che deriva dalla visione registica proposta da Woody Allen. È per l'appunto l’impostazione narrativa a straniare, entrandovi di prepotenza, imponente quanto evidente, per lasciare scorrere la storia sui binari di una coscienza lacerata, trangugiata dalla pena, dalla paura e dall'incapacità di sopperire al proprio tormento interiore.
L’occhialuto cineasta si cimenta in una prospettiva completamente dostojevskiana nel mettere in scena la degenerazione della colpa provata da parte di uno dei due fratelli, che sarà la colonna portante della tensione implicita del film. Bisogna ammettere che l'operazione in cui si imbatte Allen non è affatto facile: il suo è un mondo incentrato sull'immagine visiva che tenta, attraverso la ripresa cinematografica, di penetrare nei meandri dell'animo umano, cercando di captarne i segreti, le contraddizioni nascoste e quelle che diventano lampanti, trascinandosi dietro fardelli inimmaginabili. Il suo cinema spesso non è di facile intesa, “piace o non piace affatto” è una sentenza che si ripete spesso nel momento in cui ci si avvicina alla sua produzione, può essere adorabile oppure detestabile. È inevitabile che in tutte le sue opere compaia una linea portante, un filo d'Arianna che si dipana inesorabilmente attraverso tutta la sua retrospettiva di regista e sceneggiatore.
Eppure si ha l'impressione che qualcosa si stia modificando: rimane lo sguardo dello scettico, ma la commedia viene a diluirsi nella tragedia, si ritrova una spinta verso la classicità celata nel titolo stesso dell'opera. D'un tratto il noir fa la sua fantasmagorica apparizione, con una pressione sottile ed esasperante al tempo stesso. Un film bello, per chi sa apprezzare Woody Allen, un film che si tiene all'altezza della sua firma, lasciando intravedere nuovi spiragli, orizzonti distesi di implicite maniacalità. Viene a sorgere un lato quasi demoniaco, in queste ultime pellicole: il destino si apre alla sua imprevedibilità, insinuandosi nel libero arbitrio a cui ognuno di noi fa riferimento. Non si può più tornare indietro, oltrepassato il limite, ci dice Collin Farrell. E’ qui che poggia l'intera costruzione architettonica della storia, un dettaglio su cui ci si dibatte, senza possibilità di fare dietro front.
Articolo del
20/11/2007 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|