|
“All You Need – e come ti sbagli? – Is Love”. E allora è difficile non innamorarsi di questo musical (?) coloratissimo e scatenato. Nostalgico e appiccicosetto, a tratti. Ma l’occhio esce appagato e tripudiante, perché a firmare Across The Universe è Julie Taymor. Che avevo tanto amato per le tinte rosso sangue e la fotografia di Frida. E che, anche stavolta, non ha paura di rimettere in moto le nostre retine ormai atrofizzate dal grigio e dal bianco di troppe tastiere e troppi monitor.
Ora: il film è, né più né meno, una sequenza di quadri musicali, senza troppo peso – come è giusto che sia – alla trama, che si guadagna appena la sufficienza. Intessuta più dai trentatré inni beatlesiani che dalle prevedibilissime gesta del giovane operaio Jude da Liverpool (Jim Sturgees) che cerca gloria in America e della bionda Lucy di buona famiglia (Evan Rachel Wood) che si tuffa a capofitto in una contestazione mai bene inquadrata - però, com’è che lo stomaco ci si stringe sempre per non averli vissuti, quegli anni? Across The Universe riesce, piuttosto, a schivare la condanna fondamentale di pellicole del genere: fornisce cioè un contraltare esteticamente dignitoso all’opera in senso complessivo, impedendole di finire risucchiata dalla stratosferica soundtrack. Insomma: si guadagna dignità estetica non (solo) per i pezzi dei Fab Four (discretamente riarrangiati e interpretati) ma per il peso specifico - elevato - delle sequenze visive.
La Taymor – che viene dal teatro – sa bene che, quando si deve confezionare un testo celebre, è obbligatorio cercare strade antiretoriche, che rifuggano dalla celebrazione e dall’agiografia. Altrimenti viene meno il senso del progetto stesso. Costruire dunque lavori che – in misure diverse – si conquistino rispetto sganciandosi per quanto possibile dai padri, dalle radici, dal già visto. D’altronde, anche non volendo, per il solo fatto di vivere nel 2007 si è costretti ad essere post-qualcosa. In Across The Universe l’americana ci riesce con un bombardamento (quasi) senza soluzione di continuità di avvolgenti quadri visivi. Che si avvicinano più alla video arte sperimentale che al cinema di narrazione strictu sensu. Se infatti tagliassimo i raccordi narrativi, ne tireremmo fuori un album di magnifiche sequenze realizzate a metà strada fra il surrealismo pop che procede per associazioni e giustapposizioni, la grafica digitale (non troppa, quanto basta) e l’allestimento scenico che, si sente, ha appunto la dimensione del palcoscenico alla base. Un teatro esploso, ecco. Con l’aiuto dei computer e di una fantasia direi alla Baseman: allucinazioni a tinte forti tenute assieme dai Beatles e dai (trascurabili) sviluppi narrativi.
Due sequenze ne sono brillante conferma – e valgono il film. Quella, straziante, su Strawberry Fields – ineffabile, bisogna vederla – e quella esilarante e folle nei dettagli del reclutamento militare. Il punto, poi, è che allo schiacciante peso musicale la Taymor ha risposto, accettando la sfida, a tutto tondo. Ed ha affidato le coreografie a quel fenomeno che è Daniel Ezralow, fondatore dei Momix e da sempre impastato nel mondo musicale. Irrazionalità e corpo libero, straziato dalla ritmica: micidiale. Il mio invito, insomma, è di sgomberare la testa da tutte le idee e le opinioni sui Beatles (buone e cattive) e di fruire del film come fosse un’installazione visiva, artisticamente: succhiarne le tinte, i balletti, i montaggi, le associazioni, i luminosi inviti a risvegliare i vostri occhi. E solo alla fine, vedrete, sbucheranno di nuovo fuori Paul, John, Ringo e George. Sotto questo profilo, difficile non rimanerne vividamente esaltati.
Approfondimenti, articoli, recensioni su http://popimmersion.blogspot.com
Articolo del
01/12/2007 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|