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Peter Berg
The Kingdom
Azione, 110' -
USA 2007
Universal Pictures
di
Marco Jeannin
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In seguito a un attentato contro una base Americana, quattro agenti dell’FBI capitanati da Jamie Foxx raggiungono l’Arabia Saudita (il regno a cui fa riferimento il titolo) - contro la volontà del governo locale - per indagare e “risolvere la situazione”. The Kingdom arriva in Italia dopo il flop statunitense, cercando di cavalcare l’onda dei film a sfondo politico mediorientale (Syriana) che hanno ufficialmente preso il posto dei war movie anti-Vietnam anni ’70. I titoli di testa cercano immediatamente di proporre un “riassunto delle puntate precedenti”, semplificando e riducendo in due minuti la storia del conflitto mediorientale.
Se il difetto principale di questo genere di film era l’assurda astrusità della trama, qui il problema è l’opposto. Peter Berg, attore-regista ex-promettente, mette sul piatto una pellicola ignobile: una fiera dell’ovvio e dello scontato che vede gli Stati Uniti recitare un mea culpa decisamente ipocrito (della serie: “Noi non siamo perfetti, ma queste cose le sappiamo fare meglio di tutti”). Per poi far parlare le armi e trasformare quella che sembrava una collaborazione tra paesi ostili in un’occasione di vendetta (“Li uccideremo tutti”).
E’ vero che l’attentato iniziale è girato bene e che la mano del qui produttore Michael Mann si fa sentire sia nello stile di ripresa che nel trattare le scene d’azione. Non si può però cercare di campare su quaranta minuti passabili per provare a risollevare un film che ha nella sceneggiatura e nella recitazione dei punti più che dolenti. Il corpo centrale del film non è che una noiosa sequela di scene di una possibile puntata della serie CSI Saudii Arabia, che però non appassionano, non coinvolgono, né tantomeno divertono. Tanto lo sanno tutti che alla fine gli americani spaccano tutto e in quattro ammazzano un esercito.
L’ideologia di fondo è addirittura preoccupante: andare contro lo Stato per ottenere una vendetta a tutti i costi, senza rimorso e senza coscienza. Il nemico statunitense non è più l’Unione Sovietica nemmeno al cinema: i metodi per combatterlo però sono sempre gli stessi. Metodi in puro stile Bush. Non riuscendo più a distinguere bene e male non resta che risolvere tutto in un bel massacro. Il tentativo di mettere entrambe le parti sullo stesso piano (buoni e cattivi) non fornisce il risultato polemico sperato. Anzi, rende più evidenti i difetti dell’american-way tanto di moda. Jamie Foxx e Chris Cooper sono l’incarnazione dell’idiozia stereotipata Made in U.S.A. Mentre ancora oggi, dopo qualche giorno dalla visone, non riesco a capacitarmi di come sia stato possibile partorire il personaggio di Jennifer Garner (assolutamente inadatta al ruolo), un medico legale più addestrato di Rambo (com’è possibile?), con il compito di reggere la sottotrama sentimentale della baracca, giustificazione per tutte le azioni. Giusto per rendere le cose ancora più infime.
Poco da salvare, dunque, a parte la bella colonna sonora di Danny Elfman. E se il finale prevedibile e scontato celebra questi nuovi eroi, figli della violenza più stupida, l’invito è quello di aspettare qualche mese e consolarsi con l’inimitabile John Rambo, che sicuramente avrà meno pretese e sarà più divertente. Per chi non può resistere invece è meglio dimenticare in fretta.
Articolo del
05/12/2007 -
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