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Se contassimo gli adattamenti tratti dalle opere letterarie di Stephen King – tra film per la sala, per la tv, miniserie ed episodi di telefilm – toccheremmo quasi quota cento. Sarebbe quindi più che lecito nutrire una certa diffidenza nei confronti dell’ennesima trasposizione da tanto vituperato demiurgo. Ciò che lo svedese Hafström ci affida è invece un prodotto capace di difendersi senza strafare, reduce dai successi d’oltreoceano.
John Cusack interpreta un disilluso e scettico autore di libri basati sull’analisi di luoghi infestati da presenze malefiche. Per chiudere il capitolo della sua ultima opera, decide di trascorrere una notte nella stanza 1408 - che in realtà si trova al tredicesimo piano e la cui somma delle cifre dà 13 - di un noto albergo newyorkese. Camera famosa, appunto, per essere stata teatro di svariati macabri avvenimenti.
Sceneggiato a sei mani - quattro delle quali già esperte dello script di Man on The Moon di Milos Forman - questa pellicola svela da subito le proprie carte. Le inquadrature iniziali, con il protagonista serrato in un albergo provinciale, mostrano chiaramente l’impostazione mantenuta per tutto il corso della pellicola: un forte senso di tensione, di claustrofobia, di paranoia, ci accompagnerà dall’inizio alla fine. Le coordinate di base, certo, non brillano per eccessiva originalità: di scrittori horror con problemi familiari alle spalle e di stanze d’albergo maledette ne abbiamo visti a quintali su schermo (e su carta). Vedi Il seme della follia da un lato, dove il protagonista ricalcava King stesso, e Shining dall’altro, per citare i più conosciuti e riusciti esempi.
Il regista in ogni caso – già autore del recente Derailed – costruisce questo suo secondo lungometraggio statunitense in modo semplice e lineare. Una stanza al centro di tutto. E già Fincher ci aveva provato con Panic Room, seppur in un contesto diverso. Una camera capace di far emergere le ossessioni e le paure di chi la abita, per indurlo in breve tempo al suicidio. Come dimostrano le presenze paranormali dei precedenti inquilini.
L’angoscia ed il tormento del protagonista, ben resi da Cusack, filtrano dallo schermo agli spettatori, evitando di ricorrere a facili schizzi di sangue e concedendo solo un paio di dosati spaventi. Per l’oltre ora e mezza di durata il turbamento e l’inquietudine la fanno da padrone, privi di particolari cadute di tono, ma senza troppi slanci verso l’alto, quasi per paura di azzardare. Se volessimo infatti tracciare un grafico a dimostrazione di quanto il film provi a sbilanciarsi, avremmo pochi picchi di cui tener conto, in entrambi i sensi. Aspetto in ogni caso soddisfacente per una pellicola che, dal lato visivo, non cede alla tentazione di farsi patinata come la moda dei thriller/horror dell’ultimo periodo imporrebbe. Oltretutto, gli effetti speciali restano limitati per un film messo in piedi con un budget “contenuto” (per gli standard Usa) di 25 milioni di dollari, generosamente ripagati al botteghino.
Insomma, un prodotto nella media che si comporta bene e non osa oltre. Ma spendeteci pure una serata, difficilmente rivorrete i soldi del biglietto. Ah, inganna la locandina: Samuel L. Jackson è spacciato come comprimario, ma figura solo per una manciata di minuti.
Articolo del
11/12/2007 -
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