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Xavier Gens
Hitman
Azione, 100' - Francia U.S.A.
2007
Daybreak Productions, Europa Corp., Prime Universe Productions, Twentieth Century-Fox Film Corporation / 20th Century Fox
di
Marco Jeannin
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L’agente 47 (Timothy Olyphant) è un assassino. Preso da bambino e cresciuto secondo l’abbecedario del killer, lavora al sevizio di una potente organizzazione segreta internazionale. Un bel giorno, qualcuno decide che è arrivato il momento di incastrarlo e farlo fuori. Perché? È cattivo? Antipatico? È calvo? Xavier Gens è il regista di questo ennesimo adattamento cinematografico di un videogioco di enorme successo, Hitman appunto. Protagonista della saga virtuale è lo stesso agente 47, famoso per la sua efferatezza e per il cappotto nero, la testa rasata e la cravatta rossa. Il film che ne esce è un concentrato di noia, assurdità e piacioneria. Un mix letale che non lascia scampo. Inutile cercare di salvarlo.
Partiamo dalla sceneggiatura: l’anti-eroe di turno viene messo in discussione, dando il via ad una catena di eventi che ne segneranno la redenzione e il riscatto. Lineare, pulito e diciamolo… banale. A questo punto dovremmo trovare dei personaggi interessanti e soprattutto una motivazione forte per salvare la baracca. Esattamente quello che manca. L’agente 47 parte come “cuore di pietra”, si innamora inspiegabilmente di una vamp uscita dal nulla (Olga Kurylenko) per cui è disposto a rischiare tutto. E si ritrova coinvolto in un intrigo che lo vede vittima di un complotto sortito da chissà quale mente bacata. Dugray Scott (quello di Mission:Impossibile II) fa il verso ad uno Zenigata moderno, sempre alla caccia del suo Lupin e sempre più inadatto alla sfida. E allora perché lesinare sulle assurdità? Sbattiamoci dentro anche una bella cricca di russi da guerra fredda, agenti segreti capitanati da agenti ancora più segreti. Gestiamo il tutto attraverso una serie di situazioni inspiegabili, esplosioni, fughe, sparatorie e un bel paio di tette – immancabili nella loro gratuità.vNon ci resta che rendere il tutto ancora più insopportabile sfoggiando un bello stile “giovane”, di quelli da peggior videoclip: ritmo forsennato, nessun legame narrativo tra una scena e l’altra e qualche bella inquadratura che cita la falsa soggettiva del videogioco.
La moda di adattare videogames per il grande schermo (Resident Evil, Silent Hill, Doom) è figlia della mancanza di nuove idee che sta colpendo la scrittura cinematografica negli ultimi anni. La ricerca di una storia da raccontare ha portato al saccheggio di generi narrativi (fumetti, musical, videogiochi) costruiti per altri media e pensati per altre modalità di fruizione. E che, obiettivamente, non sempre possono funzionare se snaturati. Adattare non significa semplicemente riscrivere. Vuol dire prendere coscienza del cambio del mezzo e dello scopo: tradizionalmente dal libro al film. In questo caso significa partire da un videogame per arrivare ad una linea narrativa costruita per il cinema. Non basta riprodurre qualche scena d’azione e rendere il prodotto affascinante nello piglio: serve assolutamente un intreccio plausibile, qualcosa che renda lo spettatore parte di quello che vede. Non solo attraverso una soggettiva, ma attraverso quella che nel cinema si chiama identificazione.
Hitman manca di tutto questo: manca di plausibilità, manca di ironia, manca di una storia. Non si può quindi parlare di film, né di recitazione o di regia. Resta allora valida l’ipotesi di non voler arrivare ad un prodotto di qualità ma fare leva sull’intrattenimento puro. Anche in questo (legittimo) caso, però, è necessaria l’abilità di saper mantenere alta l’attenzione e l’interesse, saper coinvolgere. La sorpresa maggiore, invece, è la noia.
Articolo del
13/12/2007 -
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