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In un mondo parallelo, molto simile al nostro, esiste uno strumento chiamato bussola d’oro, in grado di rivelare la verità. È un mondo sotto il controllo di un potere assoluto, il magisterium, un’autorità simil-clericale senza scrupolo e di rara potenza. Ogni essere umano vive in simbiosi con il proprio corrispondente spirituale, una specie di anima fisica sottoforma di animale, il daemon. Nessuno può essere separato dal suo daemon e viceversa. Nei più giovani il daemon ha la capacità di mutare forma. Giunti in età adulta il daemon si stabilizza. Questa è una delle ragioni che spingono alcuni scienziati a condurre degli esperimenti, a cercare di capire. Lord Asriel (Daniel Craig) è uno di questi e la scoperta da lui messa a punto riguarda una polvere in grado di comandare gli elementi, di filtrare attraverso i daemon nell’uomo. La piccola Lyra (Dakota Blue Richards) vive in questo mondo. Si troverà presto a fare i conti con il potere del magisterium, capitanato dalla perfida signora Coulter (Nicole Kidman) e per cercare di salvare l’amico Roger incontrerà orsi corazzati e streghe. Solo la bussola saprà guidarla verso la meta. Che pasticcio.
La bussola d’oro è il primo di una serie di tre libri scritti da Philip Pullman denominata Queste oscure materie. Il ciclo cartaceo ha avuto discreto successo, aprendo così le porte allo sfruttamento cinematografico. Il risultato, però, stimola diversi dubbi. Ci si chiede come si possa dare ancora fiducia a un genere così rischioso, soprattutto concentrando nelle mani di un singolo (e che singolo…) praticamente tutta la responsabilità creativa e realizzativa. Chris Weitz non è Peter Jackson e Queste oscure materie non è Il signore degli anelli, nonostante il battage pubblicitario spinga a mettere le due saghe sullo stesso piano. I problemi partono direttamente dalla tipologia di romanzo che si è scelto per la riduzione: molto complesso nello svolgimento degli eventi, addirittura tecnicistico nel linguaggio, fino a risultare adatto più ad un esercito di nerd senza un tubo da fare nella vita che ad un pubblico fantasy. Ciò non toglie che il romanzo sia scritto bene e goda di una solida struttura dall’inizio alla fine. Ridurre il tutto in meno di due ore, tuttavia, risulta assai rischioso. Ecco dunque il film, di una noia mondiale nella prima parte, nella quale Weitz cerca di stabilire le coordinate base della comprensione: il risultato è un bordello di paroloni e sbadigli. Centrati tutti gli stereotipi di genere (bambina bellina alle prese con l’universo) si tenta di elevare il livello attraverso gli effetti. Una sciocchezza. Mancano ritmo e continuità. Come identificarsi? Solo nel momento dell’azione pura il coinvolgimento riesce a crescere. Ecco allora la spettacolarità delle scene al Polo in mezzo agli orsi e la battaglia (di dimensioni ridicole, se paragonata allo standard del genere) contro il magisterium.
La sensazione è la stessa provata durante la visione di Eragon: ci sono i mezzi ma manca la capacità. Non bastano Nicole Kidman e Daniel Craig (che riprendono il flirt iniziato in Invasion) e il talento notevole della giovanissima Dakota Blue Richards (ma si chiamano tutte Dakota le bambine attrici?) per creare la magia cinematografica. Se ogni essere umano è dotato di un daemon-anima, al film è proprio quello che manca: un’anima. L’impressione è quella di assistere a una vivace ma sterile sequela di effetti speciali. Tutto qui. Dove sono la passione, il conflitto, l’epica? Dov’è la sceneggiatura? Non siamo ai livelli di Eragon, completa disfatta della Fox. Poco ci manca.
Un’occasione persa. Decisamente avventata, poi, la decisone della New Line di affidare direzione e sceneggiatura al trentasettenne Weitz, regista de Il Dario di Bridget Jones e senza alcuna esperienza in campo fantasy, ma che evidentemente gode di crediti arretrati. Tutte le polemiche sulla presunta critica alla Chiesa si perdono in un bicchiere d’acqua: tanto il film è noiso, tanto è poco coraggioso nel portare avanti una delle idee principali del libro, ovvero la voglia di combattere il potere precostituito e stare dalla parte di chi sa usare il cervello per la ricerca della verità, del bene. Non ci resta allora che sperare ne Lo Hobbit, finalmente ai nastri di partenza, per tornare a vedere qualcosa di valido. Peccato davvero.
Articolo del
01/01/2008 -
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