|
Agenda fitta di impegni in questo periodo per Ridley Scott. Fra produzioni televisive (Numb3rs), cinematografiche (L’assassinio di Jesse James) e rispolverate di capolavori passati (Blade Runner – The Final Cut), è di nuovo nelle sale con l’altisonante American Gangster.
Nella Harlem di fine anni ’60 Frank Lucas, gangster afroamericano, controlla lo spaccio di eroina rifornendo l’intera città. Giunto ai vertici della gerarchia, si arricchisce a suon di colpi di pistola, acquistando la materia prima direttamente in Asia. L’incorruttibile poliziotto Richie Roberts gli si mette alle costole, buttandosi in una sfida a distanza che li porterà ad incrociare le proprie strade.
Dopo aver battuto le strade dell’horror, della fantascienza, dei film di guerra e storici e della commedia, il regista decide stavolta di buttarsi nel gangster movie. Sulla carta, il film – candidato ad un Golden Globe come Miglior Film Drammatico – suonava come il suo Padrino, il suo Quei Bravi Ragazzi, il suo Scarface. Sulla carta, appunto. Ma solo lì. Perché la pellicola in questione ha sì elementi paragonabili ai film sopra citati, ma si dimostra piatta e indecisa. Indecisa fra prendere la via dell’epopea sulla scalata al potere di un pericoloso narcotrafficante – come sembra suggerire sin dall’inizio – o, invece, improntarsi sul confronto poliziotto/malvivente – come pare avvenire in seguito. Stenta ad iniziare, seminando bagliori di un imminente decollo che in realtà non avverrà mai, per protrarre una storia (già vista) in tono amorfo e poco avvincente. Se, dato l’evolversi della vicenda, doveva essere il confronto/scontro fra i due mondi incarnati dai due personaggi principali ad essere il nodo fondamentale, il bersaglio risulta mancato. Manca una vera e propria sfida (parafrasando il sottotitolo italiano al manniano Heat), e si soffre della carenza di momenti culminanti che vedano fronteggiarsi le due forza in campo, se non nel finale.
Quest’opera è «Tratta da una storia vera», ma è proprio sotto il profilo narrativo che il meccanismo di tale trasposizione si inceppa, non offrendo attimi palpitanti e diffondendo una sensazione che si barcamena fra la noia e la speranza di una svolta. Solo a venti minuti dalla fine assistiamo a una vera e propria sparatoria, ma nonostante la mano di un autore capace e navigato, ciò non basta a ridestarci dal torpore.
Nella parte del protagonista si fa notare un freddissimo Denzel Washington – che sembra aver scoperto l’esistenza di un secondo fratello Scott, oltre al tamarro Tony. L’ormai fidato Russel Crowe (il quale ha già in cantiere altri due film con in regista de Il Gladiatore), invece, presta il suo volto onesto per vestire i panni dell’idealista serpico di turno – che sceglie di consegnare ai colleghi un milione di dollari sporchi trovati nel bagagliaio di un’auto, senza intascarsene una banconota.
Nulla da obiettare per quanto riguarda l’aspetto tecnico, chche, anzi, è l’aspetto più convincente del film. La regia è sobria e asciutta, nulla di spinto o esagerato come era lecito aspettarsi. E la fotografia di Harris Savides (Zodiac) contribuisce ad aumentare il tono crudo e algido, in particolare nelle scene sanguinolente, insieme ai sobborghi newyorkesi ricreati scenograficamente da Arthur Max (Le crociate, Seven).
Per inciso, questo American Gangster non aggiunge nulla al filone gangsteristico né a quello poliziesco. Anzi, in realtà non aggiunge nulla in generale. E i 150 minuti di durata di certo non aiutano.
Articolo del
19/01/2008 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|