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Personalissimo e storico allo stesso tempo, un magnifico ritratto dell’Inghilterra e una storia toccante vissuta attraverso gli occhi di una bambina. A proposito di occhi, è chiaro il casting: attori tutti scelti per gli occhi. Grandi, azzurri. Anche i più fissi primi piani raccontano una storia, quella vista dai protagonisti. Non parlo di “punti di vista cinematografici”, parlo di specchi che ci riflettono quello che non possiamo vedere sullo schermo oltre alle solite emozioni del soggetto in primo piano: il filo conduttore della storia è proprio questo, in un certo senso: l’inesattezza del punto di vista personale, la differenza tra quello che è e quello che vediamo. In Atonement la realtà e l’immaginazione di una scrittrice bambina si uniscono così inesorabilmente da creare un miscuglio di realtà alterata e dramma. La storia inizia proprio con la piccola Briony che guarda la sorella maggiore Cecilia assieme a Robbie, il figlio del servitore, classico: Robbie ama Cecilia, Briony è infatuata di Robbie e Cecilia ricambia il ragazzo. Così scene di piccoli litigi e amore davanti agli occhi della bambina diventano aggressioni e brutalità: una tragedia, un atto osceno, una testimonianza sbagliata cambiano le loro vite per sempre. Briony guarda, ma non vede. Vede con occhi diversi e con la fantasia di un romanziere. Poi la guerra. Vivida come in Salvate il soldato Ryan e personale come un realista italiano. In primo piano rimane sempre l’amore, anche se sembra scontato e fin troppo romanzesco in realtà non potrebbero essere due aggettivi più sbagliati. C’è ogni tipo di amore: quello degli amanti (una delle più belle scene di “intimità” degli ultimi anni), l’amore/odio fraterno e il cameratismo in battaglia, la compassione delle infermiere negli ospedali e la città che vive nonostante tutto. Londra devastata ma non distrutta come l’amore di Robbie e Cecilia. Tutto bello come dipinto, ogni scena una pennellata sconnessa torna indietro, cancella e sfuma in un andirivieni di salti temporali da diversi punti di vista. La prima parte felice e quasi spensierata ricorda un quadro di Manet, fiori e acqua incorniciano le inquadrature, gli interni case di bambola. Londra è grigia, non più del solito, austera, fredda, ghiaccio che si scioglie al primo sentimento, gli amanti che si incontrano, ancora qualcuno che prende del thè al bar. Tutto come immagino sia accaduto, come racconta chi ha vissuto la guerra: il punto forza del film. Se vogliamo parlare di tecnica colpisce la raffinatezza della regia, che muove la macchina da presa al ritmo esatto degli avvenimenti, i movimenti di macchina e le inquadrature rispecchiano senza difetti le emozioni ora di questo ora di quel personaggio. Anche la narrazione ha un non so che di puro, classe a metà tra l’austerità e l’umorismo nero dei britannici. Gli elementi crudi e scabrosi non vengono mai menzionati direttamente, ma lasciati trasparire da pochi sguardi e allusioni vaghe, dall’intreccio delle conseguenze e per la maggior parte lasciati da capire a noi. Lo charme della finzione non è niente, in questo film, in confronto alla realtà delle relazioni e della storia; sembra di non guardare un racconto inventato… e alla fine ho pianto, anche per questo, per la storia, per la realtà. Il riflesso è spontaneo, la storia lo impone, la donna che narra sembra chiederlo, è inevitabile: interno, notte, la camera viaggia sopra rifugiati ammassati nei tunnel, lei è rannicchiata con agli altri… il momento in cui Cecilia solleva la testa e… Non si può dire di più, tranne che il cast è di tutto riguardo e il racconto tratto da un libro di Ian McEwan. L’interprete di Briony da bambina merita un oscar e Keira Knightley nei panni della sorella maggiore conferma il meritato successo. Inevitabile innamorasi per due ore di James McAvoy, il dolce e passionale Robbie.
Articolo del
27/01/2008 -
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