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Tamara Jenkins
La famiglia Savage (The Savages)
Drammatico, 113' - U.S.A.
2007
Fox Searchlight Pictures, Lone Star Film Group, This Is That Productions, Ad Hominem Enterprises / 20th Century Fox
di
Fabio Piozzi
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Pare quasi una (felice) tradizione che periodicamente da oltreoceano ci arrivi qualche piccolo film indipendente, a basso budget, poco conosciuto e destinato a essere proiettato per una o al massimo due settimane in una piccola sala del centro. Che è bello riscoprire. L’anno scorso avevamo quel fortunato gioiellino di Little Miss Sunshine, ora tocca all’ultima pellicola diretta dalla statunitense Tamara Jenkins – già regista de L’altra faccia di Beverly Hills – e prodotta da Alexander Payne (A Proposito di Schmidt, Sideways).
John è un docente di drammaturgia in procinto di terminare un saggio su Bertolt Brecht, mentre la sorella Wendy lavora in ufficio sperando prima o poi di farsi conoscere come commediografa. I due si trovano improvvisamente a doversi prendere cura dell’anziano padre affetto da demenza senile, sfrattato dalla casa dove viveva e bisognoso di assistenza medica. Entrambi i figli – frustrati da ambizioni mai raggiunte – dovranno fare i conti con i problemi relativi alla sistemazione di un genitore mai troppo sentito come tale, passando di ospizio in ospizio.
La sceneggiatura, per mano della stessa regista, lavora su di una vicenda molto lineare e allo stesso tempo complessa nella sua semplicità, affidando i ruoli dei protagonisti a due mestieranti del calibro di Philip Seymour Hoffman e Laura Linney (candidata all’Oscar per questo ruolo). Le loro prove recitative – oltre a quella di un drammatico e mai patetico Philip Bosco nella parte del vecchio – conferiscono grande empatia a una storia abilmente scevra di retorica gratuita e melensa, che si denuda di fronte alla tragicità della realtà in tutto il suo fulgore, nel bene ma soprattutto nel male.
Spogliata infatti dell’abito da dramedy con il quale questa pellicola pareva vestirsi, ciò che resta è molto più dramma e molta meno commedia. I due protagonisti, oltre a vivere deprimenti esistenze mediocri, si trovano combattuti sul destino da far percorrere al proprio padre, che inevitabilmente non potrà fare a meno di infermieri, cateteri, pillole e maleodoranti stanze d’ospedale. Sono le due personalità di fratello e sorella che vengono messe a confronto, e da tale accostamento scaturiscono tutte le debolezze che nel corso degli anni si sono nutrite di relazioni instabili, incertezze lavorative e desideri inappagati. I tristi sguardi che riempiono più volte lo schermo veicolano bene il concetto.
Noi spettatori veniamo messi dinnanzi a una cruda verità che appare sempre troppo lontana, ma che spesso si rivela essere la più probabile. E i numerosi attimi imbarazzanti che coinvolgono l’anziano genitore ne sono solo l’indigesta conferma. La difficile prova di trattare tematiche come i sentimenti familiari e il problema degli anziani malati e quindi “scomodi” risulta superata, grazie alla cura di aver evitato facili trappole moralistiche disseminate ovunque e di rapido consumo.
Un piccolo film che non va sopravvalutato come spesso accade per pellicole indipendenti di questo tipo, ma che merita di essere visto almeno per la sua capacità di guardare in maniera cruda ed essenziale a tutto ciò che è quotidiano e comune. E come dice il titolo del saggio scritto dal protagonista, «non c’è niente da ridere». Anzi: è più facile il contrario.
Articolo del
01/02/2008 -
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