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Anche se la celebrazione non rientra di certo fra i canoni del punk, non riusciamo a trovare altre parole per descrivere l’eccellente trasposizione cinematografica della vita di Joe Strummer realizzata da Julien Temple con la passione, la partecipazione e l’impegno con cui si ricorda soprattutto un amico. Vi diciamo subito che il film non è soltanto per “iniziati” o “musicofili” di provata appartenenza “punk 77”, perché il regista - in particolare nella prima parte - riesce nell’intento di raccontare un periodo di rivoluzione e di rinnovamento che attraversa tutta la società inglese alla fine degli anni Settanta, con il crollo di vecchi miti e stupide certezze, con il rifiuto delle formule vuote dietro le quali si nascondeva la prepotenza di qualsiasi autorità costituita.
Il film parte dall’annuncio drammatico della morte di Joe Strummer, l’indimenticato leader dei Clash, vittima di un attacco di cuore, a soli 50 anni d’età, mentre si leggeva l’Observer comodamente seduto sul divano di casa, nel Somerset. Comincia proprio da qui il racconto a ritroso di quella che è stata la sua vita. Nato ad Ankara, in Turchia, da una famiglia di diplomatici, Joe eredita la generosità della madre e lo spirito polemico del padre. Torna in Inghilterra per frequentare il liceo, trova difficile relazionarsi correttamente con i suoi compagni, si rende conto che o si domina o si è dominati. Non esistono legami di affetto, di protezione. E non va per niente bene. Al contrario del fratello, eccessivamente timido, Joe ha la faccia tosta e riesce sempre a mettersi nei guai. Entra nei “boy scout” e cerca nell’associazionismo delle alternative valide alle finzioni dell’ambiente scolastico. Ma quando ascolta “Carol” eseguita dai Rolling Stones si rende conto che il suo vero grande amore è uno solo: è il rock and roll, è la musica. Si apre alle influenze d’oltre oceano, dove gli Mc5 di “Kick Out The Jams” infiammano le platee e invitano alla rivolta. Scopre allora che dietro l’autorità c’è una forma di potere da evitare e da attaccare duramente. Proprio in quel periodo il fratello viene trovato morto e Joe soffre di un dolore indicibile e muto. Si trasferisce a Newport, nel Galles, dove lavora prima in una fabbrica di tappeti, poi in un laboratorio che produce gomma. Poi si sposta a Bristol, dove prende una stanza in affitto con un ragazzo di colore. Frequenta una scuola d’arte, con lo pseudonimo di Woody e si inventa un “collage” fatto di tampax usati. La sua canzone preferita dell’epoca è “Black Sheep Boy” di Tim Harden. Woody detesta gli “hippies” e comincia a farsi degli amici veri come Dick The Shit e Harry The Dog, puntualmente intervistati da Julien Temple all’interno delle numerose interviste realizzate davanti ai falò che costituiscono la spina dorsale del film. Non esisteva momento più vero delle confessioni fatte intorno ad un fuoco acceso e Julien Temple ricorre alla stesse modalità quando chiede di lui a Bono Vox degli U2, a Johnny Depp, a Steve Jones dei Sex Pistols, a Flea dei Red Hot Chili Peppers, a Courtney Love, a Jim Jarmusch e a tanti altri ancora.
Interviste che si intrecciano con i filmati e con i suoi primi vagiti di rock and roll con i Vultures, una band universitaria di Bristol. Poco più tardi Woody decide che è arrivato il momento di ritornare a Londra, dove si unisce al movimento degli “squatters” ed occupa un seminterrato al numero 101 di Walterton road. Insieme agli altri inquilini costituisce una nuova band, i 101, con i quali scrive “Keys To Your Heart”. Il gruppo suona nei pub e nei concerti di beneficenza. È allora che lascia perdere il soprannome di Woody e diventa Joe Strummer. Non gli importava nulla dei soldi. Quello che avaeva in più, lo girava a chi ne aveva bisogno. Però in campo musicale, voleva il successo.
Una sera i 101 hanno come gruppo spalla addirittura i nascenti Sex Pistols, e in quella occasione Bernie Rhodes avvicina Joe Strummer, gli presenta Mick Jones e Paul Simonon, gli chiede di lasciare tutto e di unirsi ai Clash. Da allora in poi il rumore della città di Londra, il frastuono della metropoli, diventa la colonna sonora portante delle musiche del gruppo e Joe trasferisce i suoi pensieri più intimi e più veri nelle liriche del gruppo. «Tutti fanno solo quello che gli viene detto» cantavano i Clash su “White Riot” mentre cominciavano a mandare in onda il loro unico verbo «dare voce all’indicibile, mettere in musica quel che non può essere suonato». Joe Strummer non si riteneva un grande musicista. «Non abbiamo grande talento - confessa apertamente - ma ce la mettiamo tutta».
Quello che succede dopo è storia, sono fatti conosciti da tutti, i primi due album, il successo di “London Calling”, l’avventura incredibile negli Stati Uniti d’America, dove per un gruppo inglese era sempre difficile farsi apprezzare. Altri filmati d’epoca (alcuni dei quali inevitabilmente “già visti”), altre interviste, l’incredibile eco di “Sandinista!”, un triplo album dichiaratamente rivoluzionario, che ebbe il merito di aprire gli occhi a tutto il mondo sulla situazione e sulle motivazioni dei ribelli in Nicaragua. I Clash non conoscono pause, registrano dischi, vanno in tour, si concedono per tutte le iniziative antirazziste e anti-imperialiste che vengono loro proposte. Non c’è più separazione fra dimensione pubblica e vita personale e allora - dopo la pubblicazione di “Combat Rock” e dopo un inutile “Cut The Crap” - arriva la notizia dello scioglimento. Joe Strummer e Mick Jones non si sopportano più. Mick si unisce ai Big Audio Dynamite, mentre più tardi Joe formerà i Mescaleros. I due non saliranno più insieme su uno stesso palco, se non nel 2002, per un evento eccezionale, come quello di un concerto nella Acton Town Hall di Londra per sostenere la lotta dei vigili del fuoco. Dieci giorni dopo Joe Strummer incontrerà la morte nella quiete della sua casa, ma il fuoco acceso dai suoi numerosi falò lungo il fiume non si è ancora spento. Questo film di Julien Temple ne è una commossa testimonianza.
Articolo del
20/02/2008 -
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