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David Slade
30 giorni di buio
Horror, 110' - U.S.A., Nuova Zelanda
2007
Ghost House Pictures, Columbia Pictures, Dark Horse Entertainment, Ghost House Pictures / Medusa
di
Fabio Piozzi
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I vampiri al cinema sembrano essere tornati di moda. Dopo la trasposizione cinematografica del capolavoro di Matheson, Io sono leggenda, rieccoli in questo/i 30 giorni di buio. Opera seconda del trentottenne David Slade – già regista del perfido e asettico Hard Candy, purtroppo ancora inedito nel Belpaese.
In un villaggio dell’Alaska sta per avvicinarsi il lungo periodo di oscurità causato dall’assenza di luce solare. Mentre gli abitanti si apprestano a lasciare il luogo, si verificano imprevisti che bloccano la partenza di alcuni, lasciati in balìa di un manipolo di vampiri. Che ora avrà un mese intero a disposizione per decimare i poveri malcapitati. Isolati dal resto del mondo.
L’originale idea di ambientare una storia di succhiasangue fra i ghiacci di un paese completamente al buio e per un mese intero deriva dall’omonima graphic novel di Steve Niles e Ben Templesmith. Date l’ascendenza fumettistica e la gavetta dell’autore nei video musicali (Muse, System of a Down e Stone Temple Pilots fra gli altri), ci si poteva aspettare un prodotto di stampo vagamente videoclipparo e pompato, cosa che in realtà non accade. Almeno in parte.
Per la prima settantina di minuti assistiamo a una vicenda che prende piede con una messa in scena decisamente sobria e cauta. Nutrita di suggestioni carpenteriane (vedi Distretto 13 e La cosa) e romeriane (vedi i vari morti viventi) che si vedono e si sentono. Il regista non manca di evocare una certa atmosfera (dove il buio notturno aiuta), senza cadere nelle furbe scappatoie di schizzi di sangue e spaventi gratuiti. E stavolta – ringraziando il cielo – i volti vampireschi sono creati da un efficacissima mano di trucco, scartate le abusate stregonerie digitali che tanto precocemente invecchiano. Nonostante tutto, la tensione e l’inquietudine non sono il punto forte del film, ma dal canto suo una fotografia fredda come le lande d’ambientazione sa donare un’efficace cornice visiva alla pellicola.
Il discorso cambia per la seconda parte, che intraprende un lento degrado fra scene ingiustificatamente esagerate e una ripetitività che poteva essere evitata tagliando una buona quindicina di minuti di montato. L’inusitata durata di un’ora e cinquanta per un film (pseudo) horror, infatti, pesa discretamente. Peraltro l’arco temporale lungo il quale si dipana la vicenda non viene adeguatamente sfruttato. Perché se non fosse per le didascalie che puntualmente ci ricordano il passare dei giorni, sembrerebbe che il tutto si verifichi in una sola notte. I personaggi non vengono sottoposti ai particolari travagli del caso, come il difficile reperimento dei viveri, problemi di salute o scompigliamenti vari di capelli. Cose più che normali durante un lungo periodo di isolamento. E di certo la scelta di casting del belloccio Josh Hartnett, eterno ragazzino, pare la meno adeguata per la parte dell’esperto poliziotto salvatore della patria. Black Dahlia docet.
Tirando le fila, nel complesso 30 Days of Night (al solito, più accattivante il titolo originale) è un film mediocre, spaccato in due metà dissimili, che si lascia guardare senza troppo entusiasmare. Ma in ogni caso il nome del regista va aggiunto all’elenco di quelli “da tenere d’occhio”.
Articolo del
23/02/2008 -
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