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C’è una tenerezza nel tratto della Satrapi, così sofisticato e al contempo ridotto all’osso, che ti conquista in un baleno. Prima ancora della fenomenale parabola esistenziale della piccola iraniana Marji destinata a mutare nella matura ed emancipata Marjiane – zeppa di volti, personaggi, riferimenti e calore -, a stare una spanna sopra la media è proprio quella rimediazione fumettistica elegante e mobile. Scortata da stratificazioni e trovate registiche di movimento, prospettiva, libertà. Campi lunghi, panoramiche, velocità, dinamismo e sorpresa associati a deliberate scelte di nitore e pulizia: l’occhio respira, nonostante il prevalente bianco e nero che si apre in rari squarci di colore. L’occhio respira. E il cuore pompa. Perché è impossibile non sposare la causa di una pellicola impegnata con profondità e leggerezza – dimostrazione che ci sono mille modi di dire la stessa cosa, e che alcuni sono più innovativi di altri. Il classico “messaggio pesante” che passa con mezzi puntuti e sotterranei. Un quarto di secolo di storia filtrato dagli occhi di una vivace bimbetta di Teheran educata all’occidentale che riprende in prima persona la rivoluzione khomeinista, l’esilio austriaco, la guerra contro l’Iraq, l’asfissiante teocrazia degli ayatollah. Ma anche le vicende universali della sua metamorfosi in scatenata adolescente punk, prima, e di sofferente giovane donna, poi: l’amore, le passioni, la musica, la depressione, il sesso, gli affetti che nascono e muoiono in un soffio. Tutto questo tornando al tratto continuo – direi quasi che sembra di scorgere, in trasparenza, il fantasma dell’illustre John Flaxman a scortare l’ispirazione dell’autrice mediorientale. Una linea genuina, fortunatamente distante dalle roboanti, plastificate e ormai sensitivamente sterili esplosioni tridimensionali cui ci hanno abituato i pizzettoni statunitensi.
E poi è un fenomeno pop. Dannatamente. Dentro Persepolis c’è un continuo giardino di rimandi, riferimenti più o meno espliciti – alcuni davvero finissimi – e tributi che hanno effettivamente costellato quella che è stata la vera esistenza della Satrapi. Fra Marx e Schwarzenegger, gli Abba, i Revenge, gli Iron Maiden, Lenin, Che Guevara e Bruce Lee, il lungometraggio si fa tragicomica epopea pop in salsa femminista: un giubilo per gli occhi. E un invito ad allargare lo sguardo, i temi, i confini culturali: il mondo inizia da noi e finisce in noi, certo. Ma vive e deflagra negli angoli di lavori come Persepolis, che ci parlano delle guerre degli altri, degli amori degli altri, delle vite degli altri. E ci lasciano, in sequenza: una manciata di straordinarie sagome, una risata e una lacrima sincera.
Articolo del
01/03/2008 -
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