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Rambo si è ora stabilito al confine fra la Thailandia e la Birmania e si guadagna da vivere cacciando serpenti velenosi. Quando un gruppo di missionari chiede il suo aiuto, dapprima lo nega, per poi scortarli a destinazione in barca, persuaso dalla bionda Sarah Miller a capo del drappello. Solo nel momento in cui questi verranno fatti prigionieri dai soldati del regime, Rambo e alcuni mercenari tenteranno l’eroico salvataggio.
John Rambo come Rocky Balboa: niente numeri, solo un nome e un cognome. Sylvester Stallone, dopo aver chiuso la leggenda del pugile più amato della storia del cinema, ora si fa carico della regia – oltre che di sceneggiatura e interpretazione – dell’ultimo (ultimo?) capitolo di questa saga. Iniziata 26 anni fa con un reduce dal Vietnam emarginato e tormentato al rientro in patria.
È dal primo film che questo quarto tassello attinge per quanto riguarda il tono, schivando battute e situazioni ironiche degli episodi centrali. Ma è a questi ultimi che si rifà per esibire tutta la ferocia – esageratamente sfoggiata, ma non fine a sé stessa – di quella perfetta macchina da guerra che è Rambo. Inizia con immagini di repertorio nude e crude sulla guerra civile birmana, per poi comprimere in ottanta minuti tutta l’azione, condita di frecce esplosive e uccisioni (tantissime e violentissime), che ci si aspettava di vedere. Una storia attuale e taciuta, trattata in modo non retorico – seppur priva di un’approfondita indagine sociologica – che veicola la disillusa visione del dir-actor sui conflitti bellici. Evidenziando – parole di Stallone – lo scontro «tra la parte raziocinante e quella selvaggia di ogni essere umano». La regia si dimostra matura e fa perno su di un montaggio serrato, volto ad aumentare vertiginosamente lo stato di tensione (e sì, esaltazione) dell’intera pellicola. Che non permette di prender fiato neppure per un minuto.
Stallone rende più umano un personaggio che qui non si limita a sterminare da solo un esercito con un mitragliatore, ma – silenzioso e riflessivo – pare provare anche sentimenti per una donna. Nel corso della saga, Rambo ha via via incarnato varie fasi dell’andamento bellico mondiale, elevandosi a portabandiera del genere action/war movie e insediandosi nel cuore di milioni di fan. Per questo, nonostante si tenti la strada di una valutazione il più oggettiva possibile, non si può slegare il giudizio dal cuore. Oltre che dal significato e dai risvolti che tale personaggio ha avuto nell’immaginario collettivo: muscoli e vene sempre più carburati hanno reso Rambo uno di famiglia per molti di noi.
Un film fuori tempo, ma non fuori luogo. Fuori tempo perché è dagli anni Ottanta che eroi-icone come il Nostro non hanno più trovato terreno fertile su schermo, invecchiando senza una degna prole. Stallone, ultimo baluardo della vecchia scuola, sopravvive e ce lo dimostra.
Piccola nota per chi ora considera Sly solo un vecchio imbolsito: ringraziamo che sia rimasto almeno lui. Di wrestler iperanabolizzati che si credono gli eredi degli eroi old style (Stallone, Schwarzenegger, Bruce Willis) non ne vogliamo. Siamo fieri dei nostri vecchi stalloni.
Articolo del
10/03/2008 -
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