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Sia davanti che dietro la macchina da presa Carlo Verdone sa essere un artista completo e poliedrico. Questa simpatica (ma non esilarante) commedia in tre atti propone storie che non si incontrano mai, neanche per sbaglio, chiuse narrativamente e indipendenti tra loro.
Si parte con la famiglia Nuvolone, composta da papà Leo, dalla sardissima mamma Tecla e dai due figlioli Clemente e Sisto, inquietanti fotocopie del padre. Durante i preparativi per un raduno di boy scout la mamma di Leo viene trovata morta in camera da letto, dopo una notte insolitamente tranquilla. Da lì inizierà una serie di peripezie per dare l’ultimo dignitoso (ma dipende dai punti di vista) saluto alla nonnina defunta.
Il secondo atto ripropone un classico personaggio verdoniano, forse quello più celebre. Parliamo di Callisto Cagnato, già Raniero Cotti Borroni in Viaggi di Nozze e Furio in Bianco, Rosso e Verdone. Occhialini sul naso, voce irritante, movenze effeminate, Callisto è un uomo arido, dedito alle prostitute e alla praticità, che considera la sua vita e quella degli altri alla stregua di un freddo calcolo aritmetico. A farne le spese (oltre la simpaticissima governante) è il figlio Severiano, pianista timidissimo e sensibile, succube del terrorismo psicologico del padre, che lo porterà all’esasperazione. In Lucilla, conosciuta attraverso subdole strategie di Callisto volte a far diventare il figlio - sessualmente – all’altezza del padre, troverà la sua arma e la sua forza.
Il protagonista del terzo atto è il classico “coatto de Roma”, l’Ivano dello stracitatissimo “famolo strano” con i capelli più corti, ma con la sempre bellissima moglie Claudia Gerini. Una coppia in crisi e con gravi problemi di comunicazione con il figlio Steven (?), che decide di trascorrere qualche giorno di vacanza in un hotel a cinque stelle di Taormina, tra raffinatezze con non gli sono proprie e mance fin troppo cospicue lasciate ovunque. In tutto questo grande è il riscontro psicologico che Verdone impronta, in un forte contrasto tra la bellezza della vita elegante e patinata e la terribile ipocrisia che si cela dietro di essa, rivalutando invece la genuina rozzezza dei suoi personaggi, semplice quanto vera.
Un Verdone che si guarda indietro, ripercorrendo con astuzia le pellicole che l’hanno reso celebre in passato, con un rinnovato spirito critico-umoristico e un taglio che, nonostante ricalchi le macchiette a cui siamo abituati, non ripropone (troppo) allo spettatore un filo narrativo col sapore di “già visto”. Ma ciò che più colpisce è la fantastica psicologia sottesa a ogni situazione, dove il regista si fa indagatore profondo dei suoi personaggi – anche con spruzzate a tratti oscure - ognuno con un segreto esistenziale racchiuso in se, che intriga e incuriosisce lo spettatore non fermandolo alla semplice risata.
Articolo del
24/03/2008 -
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