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In uscita nelle sale italiane l’8 di agosto Ombre dal Passato, ancora un horror dal Giappone, rifatto con attori americani e regista resident Masayuki Ochiai.
Shutter è un piccolo successo, un film che tiene quasi in punta di sedia, un’ore e mezza ben spesa: il periodo chiama l’invasione dei remake di questo genere, non per questo si tratta di serie B o strascichi thriller gore (vedi Saw, troppi). Shutter in particolare credo vinca qualche premio come film più rifatto nella storia del cinema, ma questo si distingue per il discreto successo di pubblico, per il cast e la regia nuova che non si limita ai solito fantasmi corporei bianchi e neri e all’inquadratura improvvisa: il classic dell’horror giapponese è comunque presente, più diluito, meno spaventoso e più intuibile.
La storia: Rachael Taylor è Jane Shaw, Joshua Jackson è Benjamin Shaw, novelli sposi che si trasferiscono a Tokyo per il lavoro di lui come fotografo; lei gira la città in cerca di risposte al mistero che li ha accompagnati dalla strada ghiacciata: mentre guida Jane crede di investire una ragazza, ma il marito non le crede finché il disturbo spiritico si manifesta palesemente anche a Ben. Tra incontri con editori di riviste spiritiche, medium e polaroid Jane ricostruisce pezzo per pezzo un verità spaventosa. La regia è scorrevole e liscia, dopo anni dalla prima ondata di horror spettrali di questo stampo è difficile definire l’effetto sorpresa: potrebbe benissimo essere l’abitudine, la faccia nipponica standard dipinta di bianco candido su due occhinoni neri raggelanti è tutt’altro che inaspettata quando si parla di paura al wasabi, anche se le volte in cui compare qui sono relativamente poche. Nonostante questa pecca, che dopotutto non è del regista ma dell’occhio spettatoriale, il finale è buono, un po’ sorprendente ma soprattutto ben argomentato e supportato dai flashback, per una volta (insolita) riusciamo a capire chi, cosa, come e soprattutto un perché ci sia un fantasma in giro per i fotogrammi.
Shutter è in apparenza il solito film al quale il pubblico è talmente abituato che ormai la metà dei film di questo genere vanno direct to home video, in realtà si rivela essere un po’ più che accettabile: le performance degli attori prima di tutto sono “spaventose” al punto giusto, nella scarsità di primi piano si riescono a cogliere molte più sfumature che il semplice volto paralizzato dalla paura. La storia regge dall’inizio alla fine e i paesaggi sono mozzafiato, le scene ben girate e montate in un’alternanza caotica al punto giusto per cuocere lo spettatore a puntino tra l’idea di sapere già come va a finire e la piccola sorpresa finale.
Per informazione: Shutter, il titolo in lingua originale, è l’occhio della macchina fotografica, l’obbiettivo che si chiude come palpebre artificiali; nel film è il protagonista, gli scatti danno vita alle foto e catturano le immagini degli spiriti, per questo spesso le inquadrature sono fotografiche e ancora più frequentemente la macchina è protagonista e attrice, come il cellulare in One Missed Call o il telefono in The Ring, continua l’attenzione morbosa dell’oriente tecnologico verso il passato, specchio della cultura orientale che si divide fra tradizione e innovazione. Da qui anche lo spirito sempre più avventuriero dell’industria cinematografica locale e dei registi che tentano periodicamente, e con un discreto successo, di inserirsi nel mercato internazionale attraverso collaborazioni senza precedenti.
Articolo del
06/08/2008 -
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