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C’era una volta la Ddr, ossia la Repubblica democratica tedesca, meglio nota come Germania est. Un paese che, come tutti quelli del socialismo reale, prometteva il paradiso in terra ma faceva vivere i suoi cittadini in un mondo che il paradiso non era. Poi venne il 1989, il Muro di Berlino cadde, e del blocco socialista, delle sue ‘conquiste’ sulla terra (e nello spazio, grazie ai ‘cosmonauti’ che si distinguevano dagli ‘astronauti’ del mondo capitalista) non rimasero che avanzi da vendere sulle bancarelle dell’usato. Fu un momento di euforia, alla quale seguirono fatalmente momenti di disillusione. Più di recente però si è affermato fra i tedeschi un sentimento difficilmente descrivibile, a cavallo fra la nostalgia e l’affermazione di un’identità da ‘tedeschi dell’est’ dentro alla Germania riunificata. Un sentimento che però non è nostalgia perché nessuno vuole tornare indietro, né è assimilabile ad un orgoglio paranazionalista. Più semplicemente, esprime la presa d’atto che per oltre quarant’anni sono esistite due Germanie, e che la storia di quella che ha perso può essere vista con occhi diversi da quelli della semplice condanna ideologica. Il grande successo (cinque milioni di spettatori) che Good Bye Lenin ha riscosso in Germania sembra esprimere bene questo sentimento, ed è una buona notizia che i tedeschi, spesso in difficoltà con la loro storia, sappiano apprezzare opere che non sono né inni al vincitore né uno sfogo delle ansie di rivincita dei vinti, ma nascono da una profonda simpatia per l’umanità di coloro che vissero nel regime comunista una vita normale, fatta di affetti familiari ora frustrati (anche per colpa del regime) ora capaci di svilupparsi dentro ad un mondo immerso nelle falsità della propaganda. Tanto che gli stessi meccanismi della falsità e della propagaganda diventano utili, nel film di Becker, per sviluppare e far crescere una bugia capace (un po’ come in ‘La vita e bella’) di salvare il rapporto fra una madre e un figlio preservandolo da una realtà che rischierebbe di ucciderlo. Il figlio, che non può odiare fino in fondo ciò cui si è votata sua madre, si trova così ad usare le tecnologie portate dal capitalismo e le tecniche di disinformazione proprie del socialismo per permettere alla Ddr di sopravvivere per un anno alla caduta del Muro di Berlino entro un appartamento di 79 metri quadrati, scrivendo un’autentica storia al contrario della riunificazione tedesca, al solo scopo di salvare in sua madre, e di farle portare fino al cielo, quell’illusione che le aveva fatto sposare la causa dello stato socialista. Un’illusione che prometteva il cielo in terra, sconfitta dal sistema occidentale, che aveva promesso molto di meno e mantenuto molto di più; ma che non poteva portare il cielo a chi, dopo averlo atteso dal socialismo, ha ormai capito di non poterlo avere neanche dal capitalismo.
Articolo del
03/06/2003 -
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