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Una strada nel buio della notte, illuminata solo dai fari di una macchina. A un tratto un botto: un uomo viene investito da un auto, ma qualcuno ha visto tutto e prende la targa della macchina. Il proprietario è Servet, un uomo politico che per evitare lo scandalo chiede al proprio autista Eyup di farsi incolpare per l’incidente in cambio di denaro. L’uomo accetta, resterà in carcere per poco tempo, la moglie Hacer continuerà a ricevere il suo stipendio, mentre al momento del suo rilascio la famiglia riceverà la lauta ricompensa. Hacer però diventerà l’amante del politico, mentre il figlio Ismail si farà tormentare da ciò che gli succede intorno.
Efficace e originale è il titolo dato al film, che si ispira alle scimmie della famosa leggenda giapponese che non vedono, non sentono e non parlano per ignorare la realtà che le circonda. Proprio come nella famiglia del regista Nury Bilge Ceylan, dove tutti i personaggi si affidano a piccole e grandi menzogne per non dovere affrontare e sopportare responsabilità troppo pesanti, cercando di negare fino alla fine la verità. I tre personaggi vivono in un loro mondo chiuso, prigionieri di una gabbia dove è impossibile trovare pace, e ogni possibilità di comunicazione con il mondo esterno sembra quasi irrealizzabile (per tornare al tema dell’incomunicabilità tanto caro al regista Antonioni). L’unica fiaccola di speranza per questa famiglia è un fantasma del passato, un figlio perduto che con la sua distante presenza sembra che possa donare un po’ di serenità alle loro tormentate vite.
Ceylan racconta una storia forte in cui la narrazione procede per sottrazione e la privazione principale è quella dei sensi. Non c’è azione, gli incidenti, le morti, e i tradimenti sessuali restano tutti fuori campo. L’unico mezzo di comunicazione è la suoneria del cellulare di Hacer (che ricorda Clara Calamai nel capolavoro del grande Luchino Visconti Ossessione), ripetuta all’infinito per tutto il film: ”Ama non ti fare amare, soffri per amore…” e l’essenza del film sembra proprio essere racchiusa in queste parole. Tra l’altro sarà proprio lo squillo della suoneria a innescare il dubbio del tradimento del marito.
I ritmi del film sono molto lenti, i tempi molto dilatati, le inquadrature fisse studiate minuziosamente dal regista, e intensi e lunghi primi piani. I campi lunghi raccontano senza gonfiare, e i protagonisti si muovono in essi diventando un unicum, riuscendo a parlare di loro anche attraverso un pioggia e i tuoni che chiudono il film. La parola è infatti affidata completamente agli spazi architettonici di Istanbul, avvolta in un’atmosfera fredda e cupa, dove i personaggi preferiscono contemplare che parlare. Nel gioco ambiguo e sinistro di sguardi Ceylan elabora lo spazio filmico in modo equilibrato e coerente, tra astrazione e realismo, grazie anche al grande lavoro del direttore della fotografia Gökhan Tiryaki.
Con Le tre scimmie Ceylan opera una notevole svolta nel suo cinema, pur mantenendo una propria coerenza tematica e stilistica che l’aveva distinto in passato con il bellissimo Uzak.
Articolo del
29/09/2008 -
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