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Nel 1944, durante la seconda guerra mondiale quattro soldati neri americani della 92^ divisione Buffalo soldiers, dopo un violentissimo scontro a fuoco con i nazisti sul fiume Serchia, approdano in uno paesino sperduto nelle verdeggianti colline toscane. Insieme a loro c’è Angelo (Matteo Sciabordi), un bambino proveniente da Sant’Anna di Strazzema. Lo sparuto numero di paesani rimasti accoglie il quintetto con sospetto, pur tranquillizzato dall’avvicinarsi della fine della guerra e convinto degli intenti pacifici dei militari. Arrivano anche alcuni partigiani, a capo dei quali c’è Peppi Grotta (Pierfrancesco Favino). Nessuno di loro sa che i tedeschi sono alle porte.
Elemento che accomuna i diversi gruppi di persone è un disertore tedesco, che per motivi diversi tutti cercano: gli americani per conoscere più chiaramente le mosse del nemico, i partigiani come ostaggio, i nazisti perché testimone scomodo di una rappresaglia/strage accaduta poco prima a Sant’Anna..
Angelo (speriamo che non si gridi all’ “enfant prodige”) offre degli spunti onirici alla situazione: ha un amico immaginario, morto ammazzato dai tedeschi a Sant’Anna, con cui parla e si confida. Lui è invece scappato dalla strage grazie al disertore. Non parla con nessuno e non ascolta nessuno tranne il soldato Sam Train (Omar Benson Miller), il “gigante di cioccolata” buono e ingenuo come un bambino, la cui stazza è tanto grossa quanto il suo senso del reale è impalpabile e trasognato. Train tiene con sé un’antica testa di una statua, convinto che sia un portafortuna magico che lo preserva dalla morte rendendolo invisibile. Angelo (inoltre!) nasconde un segreto tremendo: Rodolfo (Sergio Albelli), uno dei partigiani, è un traditore.
Il prologo è sanguinoso: muoiono tutti (militari e civili) durante lo scontro finale. Tutti tranne uno, colui il cui flashback ci permette di conoscere i fatti. Quarant’anni dopo, nel 1983 Aubrey Stamps (Derek Luke), impiegato delle poste ossessionato per tutta la vita da quella lontana vicenda, uccide a sangue freddo Rodolfo il traditore, incontrato casualmente nel pieno delle attività dell’ufficio postale. Arrestato e processato, viene rilasciato su cauzione pagata da un misterioso sconosciuto, che si rivela essere Angelo (Luigi Lo Cascio) nel frattempo diventato ricchissimo.
Questa è la trama del film di guerra (un piccolo cammeo ce lo regala anche il mitico John Wayne, quale gioia ritrovarlo sul grande schermo!) in cui Spike Lee ha deciso di cimentarsi. Senza ironia né retorica dialettica la domanda è: “perché lui?”. Perché credere che dei soldati neri americani discriminati negli Usa possano trovare conforto e fratellanza nell’Italia degli anni ‘40? Perché sentire l’esigenza di denunciare l’ennesima crudeltà nazista e perché voler mettere alla luce un episodio dimenticato dalla Grande Storia e ancora poco chiaro perfino a molti italiani. Senza pretendere che un regista si occupi di un solo genere (se ancora di generi si può parlare), né credere che un cineasta della sua mole possa trovare limiti nelle distanze spazio-temporali… speriamo invece che tutto ciò accada, anche a rischio di sembrare razzisti o classisti.
Inevitabilmente Miracolo a Sant’Anna cade nel macchiettismo all’italiana, in cui i paesani sembrano usciti da un vecchio film di Totò e Peppino: dialoghi, gesticolazione, atteggiamenti che sembrano paracadutati direttamente dalla commedia dell’arte con Pulcinella, Arlecchino e tutti gli altri, con tanto di vecchietta che legge il futuro nell’olio. L’idea che dei neri “mangiabanane” possano sentirsi a casa in un’Italia fascista, retrograda, assolutamente estranea all’immigrazione e alle pelli colorate è talmente delirante da sembrare comica. Le scene di guerra sono di una crudeltà inutile: ciliegina sulla torta è poi l’idea di infilzare con la lama del fucile una neonata durante la famigerata strage. Come pure la scena della battaglia sul Serchia, piena di cervelli spappolati e di arti mozzati, dettagli gratuiti e troppo simili a film sullo stile de La sottile linea rossa. Non è questo il tono del film e forse il problema generale è proprio questo: non esiste un tono, una poetica e una scelta linguistica unitari. Ideologie antifasciste, antinaziste e antirazziste, tradizione e cultura italiana e poi ancora dettagli cruenti, elementi fortemente onirici e alcuni comici mescolati nello stesso calderone senza poter trovare una chiave di lettura, un filo conduttore né estetico, né tematico.
Un problema almeno è stato risolto con un escamotage: dall’accusa di falso storico il film si difende con un chiaro preambolo, poiché la storia raccontata è ispirata a una vicenda reale ma rivista e corretta e soprattutto - si specifica - la strage di Sant’Anna è da imputare interamente ai nazisti senza coinvolgimento dei partigiani, rappresentati da Favino, figura forte e coraggiosa ma profondamente umana.
Il nuovo e tanto atteso film di Spike Lee è dunque insufficiente e lontano dalle sue precedenti, indimenticabili pellicole. Ingoiata la delusione rimane latente un grande timore: che questo sia l’inizio della fine? Ammicchiamo a Mr Spike Lee con una speranza: "Fa la cosa giusta".
Articolo del
10/10/2008 -
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