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Se vi piaceva, 'La Piovra', potrete apprezzare 'Piazza delle Cinque Lune'; se avete amato 'JFK' potrete ritrovare momenti che hanno il film di Stone come modello. Ma se volete capire chi fosse Aldo Moro, lasciate perdere. Perché nulla saprete di quell’uomo, se non che (secondo la tesi del regista Martinelli), voleva ‘portare i comunisti al governo’ e perciò sarebbe stato eliminato dalla Cia e dalla P2, servendosi delle Brigate Rosse eterodirette attraverso Mario Moretti il quale, lungi dall’essere un rivoluzionario uscito dall’autunno caldo, sarebbe stato il classico venduto al soldo della reazione per colpire la grande forza del Pci (per usare il linguaggio dei tempi di Peppone). A sostegno di questa tesi, Martinelli affastella rivelazioni (alcune vere, altre discutibili) compiendo un’operazione legittima sul piano della finzione cinematografica, non su quello della ricostruzione storica. Punta cioè a convincere attraverso alcune ‘verità svelate’ che non sono necessariamente verità, e mai sono svelate. Fa sorridere, ad esempio, che un magistrato vada di nascosto a Parigi un quarto di secolo dopo i fatti per ricevere da un misterioso informatore (come in ‘JFK’) presunte rivelazioni sulla scuola di lingue ‘Hyperion’ (copertura per azioni di infiltrazione) vecchie di almeno quindici anni. Perché far fare questa ‘scoperta’ al personaggio di Donald Sutherland dopo averlo costretto (alla sua età!) a calarsi per cunicoli, sfuggire a falsi incidenti, entrare in contatto con fonti misteriose che gli fanno seguire rituali simbolici (e un po’ ridicoli)? Perché mettere a repuntaglio la vita dei figli e del marito di Stefania Rocca, per ‘scoprire’ cose di cui si parla da tempo su libri, giornali, programmi televisivi (a cominciare dalla ‘Notte della Repubblica’, di Sergio Zavoli, del 1990) e siti internet (fra cui l’ottimo ‘misteriditalia.com’, e perfino ‘Dagospia’)? Certo, lo spettacolo vuole la sua parte. Ma c’era bisogno di tirare in ballo Moro per far vedere un aereo che insegue un’automobile? E che senso ha vantarsi di ‘rivelare’ una ‘verità scomoda per il potere’, quando si ripetono (anche grazie a finanziamenti pubblici) tesi che circolano liberamente da anni? Tanto più se il risultato è la distruzione di un’altra verità. Perché nel film non si nomina mai la Dc? Eppure Moro, lungi dal voler ‘portare il comunisti al governo’ (nulla è meno moroteo di un’affermazione così semplicistica, e falsa), era stato rapito in quanto esponente chiave della Dc, partito al quale si rivolge dalla prigionia perché accetti la trattativa, ricordando ai suoi colleghi di trovarsi nei guai un po’ al posto loro. Alla trattativa che non ci fu, alla lacerazione nella Dc, Martinelli non dedica un fotogramma. Perché la tesi del complotto “per non far entrare i comunisti al governo” fa a pugni con il fatto che Moro non fu eliminato a via Fani il 16 marzo, ma dopo che per due mesi le Br cercarono di portare la Dc, e attraverso di essa lo stato, ad accettare le loro condizioni. Ma quel che nemmeno le Br (o chiunque sia stato attraverso di loro) hanno fatto, lo fa Martinelli: la Dc in quei giorni non c’era, o se c’era, era irrilevante. E quello di Moro diventa un delitto perfetto; perché non resta nemmeno il ricordo di quel che è stato, del suo partito, dei disegni politici di cui fu protagonista. Ma solo una storia di trame e poteri occulti, in cui a Moro, alla sua intelligenza complessa e raffinata, spetta solo un ruolo da comparsa.
Articolo del
09/06/2003 -
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