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Wall-e è un piccolo robot che da settecento anni – quando la Terra fu abbandonata dagli umani – passa le giornate impacchettando rifiuti, in completa solitudine se non per un piccolo insetto unico amico. È solo quando dallo spazio arriva Eve, un moderno e sinuoso robot alla ricerca di forme di vita, che si accorge di non essere solo.
Il regista Andrew Stanton vince un’impresa ben più ardua di quella del suo Alla ricerca di Nemo, catalizzando l’attenzione verso un personaggio che nella prima parte di film – quanto di meglio la Pixar abbia mai creato da Toy Story a oggi – è unico attore senza proferire verbo. Privato della parola (che troverà flebilmente con l’arrivo di Eve), Wall-e riceve in dono dai grafici degli studios californiani un’innocente espressività di gesti e sguardi che fa subito dimenticare la sua quasi incapacità di parlare.
La come sempre impeccabile realizzazione tecnica veste di un abito sopraffino quello che può esser definito il miglior film d’animazione in computer grafica realizzato finora, adatto probabilmente a un pubblico più adulto ma non dimentico dei più piccoli. I registri narrativi spaziano dal dramma sentimentale allo slapstick, dallo scenario post-apocalittico alla fantascienza, toccando un numero infinito di corde che testimoniano l’incredibile forza della nona sinfonia di casa Pixar (nuovamente introdotta da un delizioso cortometraggio).
Scelta geniale che l’unica presenza atta a solcare la desolazione di una terra sfruttata e abbandonata, sia un arrugginito robot vecchio stampo, che come passatempo adora collezionare cubi di Rubik e rivedersi spezzoni di Hello Dolly! registrato su una nostalgica videocassetta. La storia d’amore che va a crearsi fra le due creature aliene – nel senso stretto della parola, cioè sconosciute, estranee fra loro – incontra un punto di rottura nel momento della partenza di Eve, diretta verso la nuova stazione occupata dagli umani. Qui si apre uno scenario allarmante: persone obese che si muovono esclusivamente tramite poltrone telecomandate e comunicano solo per mezzo di proiezioni video, totalmente dimentiche di cosa offriva un tempo il loro pianeta d’origine.
Il cambio di scenario denota una svolta narrativa che comporta un leggero calo emotivo, forse dovuto al fatto che la presenza degli umani nei film d’animazione viene sempre un po’ percepita come corpo estraneo. Ma questo vuol dire proprio fare i critici alla Antoine Ego di Ratatouille, perché ogni pretesto è buono per spunti di riflessione sconfinati, dalla love story all’inquinamento, dalla nostalgia per il passato alla preoccupazione per il futuro in mano a un’umanità sempre più atrofizzata. E se il cinema è sensazione, emozione, magia, allora Wall-e è vero cinema perché sa regalare tutto questo a noi spettatori, fieri di essere ritenuti finalmente esseri pensanti.
Al timone oltre a Stanton stavolta ci sono garanzie come Pete Docter e John Lasseter, oltre che Thomas Newman alle musiche – mentre è di Peter Gabriel la canzone in chiusura – e Roger Deakins – che i Coen conoscono bene – come consulente alla fotografia. Tutti loro ci regalano un capolavoro indescrivibile solo a parole, vedere per credere, occhi lucidi assicurati. Solo una cosa, per favore: non pensiate sia un cartone animato.
Articolo del
23/10/2008 -
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