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È una serie di piccole emozioni, di giochi della memoria e di allusioni ai nostri sensi che per poco meno di un’ora e mezzo tiene i nostri occhi e le nostre orecchie a seguire l’esile storia raccontata da Franco Battiato in ‘Perduto amor’. Un film felicemente leggero, che può essere letto in tante maniere ma che, come la musica che lo accompagna (musica leggera anch’essa, anche se non manca Bach), ci resta piacevolmente in testa ben al di là dello svilupparsi della trama o dei messaggi che possono esservi letti in controluce. Perché più che un film di messaggi e di idee, ‘Perduto amor’ è un film fatto di cose e di persone, e della macchina da presa che le osserva per raccontarcele. Con uno sguardo divertito e coinvolto, il film ci mostra così una Sicilia anni ’50 piena di sole e di antica sapienza, filosofica e artigianale, dove un bambino cresce nell’affetto di una mamma bellissima (ai suoi occhi di bambino e anche ai nostri di adulti, al di là del gioco del rinvio alla Sicilia ‘terra madre’); poi lo stesso sguardo passa agli anni ’60, prima in una Sicilia dove nulla sembra cambiare, poi a Milano dove tutto sembra invece muoversi al ritmo delle musiche che parlano di un mondo nuovo che si sta affermando. Qui, Ettore Corvaja, protagonista del film, raggiunge il successo per il quale aveva lasciato la terra madre, dopo essersi trovato (o perduto, a seconda dei punti di vista) grazie alle lezioni di meditazione di una specie di santone; lezioni esoteriche, cioè per pochi, che forse per questo non ci vengono mostrate, a differenza della lezione di cucito che apre il film facendoci scoprire queste donne piene di un fascino profondo e quasi represso che sentiamo appartenerci assai più di tutti i misteriosi misteri esoterici che il protagonista troverà a Milano. Perché se la saggezza inseguita da Corvaja è esoterica, cioè per pochi, la felicità espressiva dei momenti migliori del film è profondamente democratica, cioè per tutti. E perché nell’incontro fra l’antico e il moderno, qualcuno può forse essere portato a cercare la necessaria saggezza del lontano Oriente, ma per tutti sarà più facile conservarla grazie alle radici dalle quali siamo nati, piantate nella terra di un mondo nel quale le cose di tutti i giorni, come cucire un vestito o gustarsi una granita alle mandorle, sono piene di sapienza e di sapore, certo non meno del tantrismo o delle meditazioni orientali. Che poi, dovendo scegliere, non ho dubbi: io voto per la granita!
Articolo del
13/06/2003 -
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