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Un occhio su Bombay, niente di nuovo: una metropoli che rigurgita bambini sfruttati, accattonaggio, prostituzione, poliziotti che sonnecchiano, vacche macilente libere per le strade, il traffico caotico, il fiume fangoso. Ma, sopra ogni cosa, la miseria dilagante.
Danny Boyle trova uno spunto tutto occidentale per narrare una storia di povertà e criminalità: il quiz televisivo, format ormai dilagante in tutto il mondo. Jamal Malik (Dev Patel) è il giovane concorrente che viene dalla strada, dove ha vissuto con il fratello Salim la sua infanzia, scappando prima da un’orda di ortodossi islamici che hanno ucciso la madre, poi da una banda di sfruttatori di bambini, quindi dal fratello affiliatosi a un boss criminale, non senza prima aver tentato più volte di salvare Latika (Freida Pinto), la bambina/donna amata da sempre, ma condannata alla prostituzione. Schiva tutti i colpi Jamal. Con coraggio, caparbietà e purezza d’animo.
Bombay è una città che cresce negli anni. Con lei crescono i palazzi, le ingiustizie e la malavita che sembra organizzarsi e diventare più potente. I tre moschettieri, Jamal, Salim e Latika, si allontanano e si ritrovano e, mentre Jamal riesce nonostante tutto a non perder la propria ingenuità, gli altri due vengono risucchiati dal gorgo e si arrendono a un destino che pare loro inevitabile. Jamal, alla fine abbandonato e tradito dal fratello e da Latika, trova lavoro in un call-center come “ragazzo che porta il tè”, ma la sua mente torna sempre alla ragazza e l’ultima speranza per essere visto da lei gli sembra il quiz televisivo. Partecipa e risponde a tutte le domande, ma il più incredulo è il fastidioso e arrogante presentatore (Anil Kapoor), che arriva a depistarlo e, prima di rispondere alla domanda finale, a denunciarlo. Jamal viene infatti arrestato dalla polizia che lo tortura per fargli confessare di avere un complice che gli suggerisce le risposte. Come dimostrerà all’ispettore di polizia (Irfan Khan) è il destino e solo il destino che ha predisposto le domande in modo che la sua giovane ma avventurosa vita possa fornirgli le risposte.
La storia narrata su più piani spaziotemporali (dalla finzione di uno studio televisivo alla reale vita vissuta), insieme a un montaggio incalzante e una musica (ottimo mix di tradizione e dance), conferisce a The Millionaire un ritmo tutto occidentale. Danny Boyle è amorevole con i suoi protagonisti e strizza l’occhio al pubblico. Miscela sapientemente i valori dell’amor cortese di Bollywood, il realismo crudo di uno spaccato sulla miseria e la globalizzazione financo televisiva. Scanzonato, come sempre, non ci risparmia le disumane violenze che riserva l’India.
L’happy ending e il balletto tipico di una certa filmografia indiana sono la migliore chiosa che questo film potesse offrire: un film dai buoni sentimenti, un inno all’amore, al coraggio e all’onestà nonostante tutto. Indimenticabili: le immagini dei ragazzini che fuggono nella baraccopoli, i colori delle vesti stese ad asciugare sugli argini, il quartiere a luci rosse dove sono arroccate le prostitute, l’abominio perpetrato sui ragazzini.
Articolo del
21/12/2008 -
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