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EDITORIALE SEMISERIO E NATALIZIO PER UN PAESE IN PANNE (CINEMATOGRAFICHE E NO) di Simone Cosimi - Caporedattore Sezione Cinema
Non certo per carenza di materiale. I nostri recensori, infatti, sono indefessi e scatenati. Bambini-piranha della critica nazionale. E nemmeno per puro dileggio. Natale, facciamoci del male - e la prima recensione incasellata nella nuova rubrica, Torno a vivere da solo - nasce e muore nel periodo delle feste per mettere sotto la lente la melma della nazione. Roba che non sarebbe stato possibile incastonare nemmeno nell'altra mitica rubrica, Ippica, arrivo!. Il fine è lampante anche a un venusiano: si tratta di urlare - come ha fatto Giuseppe Genna nel suo ultimo libro - un De profundis all'Italia. Intonare un canto dolente e però autopunitivo verso un Paese (vogliamo ancora usare la maiuscola?) e una parte - una parte, l'Italia è anche bravi registi, belle mostre, buoni film, bravi direttori, bei giornali - del "sistema culturale" di quel Paese. Che ha ancora si permette, dopo anni e anni, di inficiare le proprie sale cinematografiche con prodotti privi di senso e che alimentano i peggiori luoghi comuni italiani. Dice: fanno il loro mestiere. No: lo distruggono, quel magnifico mestiere. Improbabili remake - o ennesimi capitoli di ributtanti saghe - che, semmai, potevano trovare un proprio potenziale comico nell'Italia ridanciana e spendacciona degli anni Ottanta. Quella del Berlusconi che aveva appena smesso gli abiti del costruttore e indossato quelli del feroce e scatenato editore. Dei fagioli della Carrà e di Bettino Craxi. Ora no. Oggi no. Oggi serve uno scatto, un guizzo. Una cazzo di dignitosa sobrietà adatta ai tempi. Anche nello spettacolo. Intendiamoci: non che ci si debba lanciare in un infinito piagnisdeo accatastati l'uno sull'altro sul divano, davanti al torrone e ai fichi secchi. Ma insomma, noi di Extra Music Magazine, nel nostro microscopico, difenderemo sempre l'idea poetica che ci siano e debbano esserci altri modi di ridere. Magari riflettendo un po' - appena appena, che gli italiani non sono abituati e poi si sentono male - prima di farlo. Auguri di cuore. L'obiettivo è quello di essere migliori di quel che siete, di quel che siamo, dal primo gennaio. Gli italiani siamo (anche) noi.
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È una giornata piovosa e, non sapendo cosa fare, decido di andare al cinema. Arrivato, chiamatela pure masochismo o stupidità, decido di andare a vedere Torno a vivere da solo di Jerry Calà. E penso: «Beh, sono riuscito a vedere per intero la Fidanzata di papà, questo non può essere peggio».
Salgo in sala e il film inizia quasi subito. E subito parte una micidiale risata nel sentire Don Johnson doppiato in milanese, provando una bel po’ di tristezza nel vedere dov’è finito quest’attore (il passaggio da Michael Mann a Jerry Calà non dev’essere stato piacevole). La pellicola prosegue e, dopo aver rischiato un blocco renale nel vedere Jerry Calà che fa sesso, la mia mente inizia a vagare altrove.
Penso a quanto mi potrà chiedere il meccanico per riparare la macchina, ma sullo schermo vedo apparire Paolo Villaggio e tento di riconcentrarmi. Il suo personaggio è un concentrato di retorica nascosta da battute (finto) ciniche, così decido di tornare in me. Tutto a un tratto mi ricordo che tra poco è il mio compleanno e Natale. Chi invitare? Cosa organizzare? Che regali fare? Mentre cerco di rispondere a questi inquietanti quesiti scorrono sullo schermo immagini di Jerry Calà che vuole fare sesso a tutti i costi, battute sui gay e transessuali, la classica (e odiosa) esclamazione “libidine”, donne che vanno con ragazzini, ripicche sentimentali, falsi amicizie e via elencando.
Ma il mio cervello non è ancora in grado di sopportare questa pellicola e inizio a distrarmi giocando col cellulare. E, nel bel mezzo di una memorabile vittoria a Snake, ecco il colpo di grazia. Una bellissima brasiliana (che poi si rivelerà un transessuale, con tutte le annesse battute che potete facilmente immaginare), rimette a posto la vita di tutti i personaggi del film, che si ritrovano a festeggiare insieme il capodanno. Poi, salvifica e inattesa, la fine.
Esco dalla sala triste e arrabbiato pensando: o Jerry Calà è un genio e ha preso in pieno la condizione della razza umana oppure questo film è un concentrato di incapacità su tutti i fronti? Scegliendo la seconda ipotesi, mi maledico per aver buttato nel cesso due ore della mia vita e qualche ero spendibile per ben altri fini.
PS Mi scuso vivamente per la recensione non convenzionale, ma un film del genere non merita altro trattamento. Se non una lavanda gastrica post visione.
Articolo del
24/12/2008 -
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