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EXTRANTEPRIMA! - Da venerdì 9 gennaio nelle sale italiane
Il film non è ancora da premio, troppo legato anche alla parte del far cinema italiano che poco si adatta a Hollywood, ma Will Smith è semplicemente magnifico. Dico “anche” perché c’è invece quel lato di personalità e passione, di riflessione, che Gabriele Muccino porta in America completamente e che non solo si sposa con la terra d’arrivo e con i suoi attori, con le attrezzature e i budget d’oltreoceano, ma soprattutto dà spazio agli attori, offre ai grandi interpreti da Oscar la possibilità di raggiungere profondità e carattere raramente raggiunti nelle produzioni locali, anche quelle che hanno effettivamente garantito agli artisti la presenza nell’olimpo di Tinseltown. In tutto ciò Smith è indescrivibilmente bravo, non è cosa buona e giusta tentare di descrivere in poche parole le emozioni che riesce a dare al suo personaggio.
Seven Pounds non è mai cheesy, smielato, eccessivamente buonista, è semplicemente inverosimilmente vero. Apre il weekend prima di Natale in Usa e in internet si scatenano critici e curiosi che voglio scoprire il mistero: Seven Pounds sarà un riferimento al Mercante di Venezia? (secondo noi, sì), qual è lo scopo di Ben, cosa deve fare e perché, cosa è successo nel suo passato, qual è il suo segreto, di chi sono le sette anime. Che io ricordi, nessun italiano ha mai diretto una suspense mediatica così ben riuscita, e anche quella cinematografica non è male, anzi, riesce a tenere in dubbio fino alla fine. Ottimo. Quella sensazione di sapere già come andrà a finire, o per lo meno che andrà a finire male per qualcuno, ma questo finale è soprannaturale, inconcepibile nella sua semplicità e nella sua crudezza bellissimo. Gli ultimi venti minuti del film sono struggenti fino all’esasperazione: la fine prolungata, aspettata e inaspettata dura cento anni, le inquadrature punteggiano ogni singola emozione come il battito di un cuore; gli indizi ce lo avevano detto dall’inizio ma non ci si può credere con tanto spirito da non piangere, singhiozzare.
In tutto questo pandemonio di emozioni si inserisce una scena “d’azione” spettacolare che qua in Italia sarebbe stata impossibile, quindi kudos a Muccino per aver cercato budget e studios all’estero, e il mistero: la trama è aggrovigliata e cosparsa di sogni e flashback, di storie che si incontrano e si intrecciano con eleganza e fino all’ultimo minuto, letteralmente negli ultimi cinque minuti di pellicola, non viene svelata tutta la storia, viene scoperta nello scioglimento finale, della storia e scioglimento in lacrime.
Come ho già detto, purtroppo, ci sono ancora piccoli difetti – o mancanze di spettacolarizzazione - che costano un piazzamento più alto alla pellicola: la luce sarebbe stata più espressiva se meno spenta e in alcuni momenti si sentono pesanti le pause irrilevanti tipiche del cinema d’autore italiano. Venticinque minuti in meno e qualche contrasto in più avrebbero fatto la differenza, meno panoramiche di primi piani roteanti, il tipicamente troppo “muccinesco” che lascia spazi aperti alla noia e alla critica, meglio tagliare e non lasciare respiro tra una scena bellissima e un’altra.
La trama? Non si può raccontare senza fare l’occhiolino alla fine. Un uomo, sette persone buone, il segreto, altruismo, redenzione. Nelle sale italiane dal 9 gennaio, assieme a Will Smith la bravissima Rosario Dawson e molti altri volti conosciuti e semi.
Articolo del
07/01/2009 -
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