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«Il mio nome è Harvey Milk, e voglio reclutarvi tutti». Questo lo slogan, nato quasi per caso, con il quale il primo politico statunitense dichiaratamente gay si presentava alla folla, all’indomani dell’elezione come consigliere comunale di San Francisco. La parabola di un simbolo dunque, dalla sua ascesa con ancora indosso i panni dell’assicuratore, alla caduta per mano dell’ex consigliere Dan White.
Gus Van Sant attinge per questa sua nuova opera alla storia degli Stati Uniti e degli uomini che l’hanno creata, prendendo a modello un uomo che trovò la sua collocazione temporale negli anni Settanta della pace e dell’amore, ma i cui valori oggi – al grido di Obama for change – appaiono quantomai significativi e calzanti. In un periodo in cui il bigottismo della cosiddetta “legge di Dio” pullula ancora e nemmeno troppo silenziosamente.
Dopo gli strettamente autoriali Elephant, Last Days e Paranoid Park, il cinquantaseienne regista originario di Louisville sceglie una narrazione più stilisticamente tradizionale, non dimentico delle sue inquadrature fisse e dei suoi pianisequenza, ma alla ricerca di un mix stilistico in cui registro personale e tono documentaristico si fondono. Donando un affresco di un uomo, ancor prima che un eroe, senza troppa enfasi mitologica caricata sulle spalle del personaggio, ma col giusto equilibrio fra distacco e coinvolgimento che rendono la pellicola un portavoce dei valori umani ancor prima che un mero manifesto del movimento omosessuale.
La caratteristica molteplicità dei punti di vista, strettamente cara all’autore, cede il passo a un racconto organizzato per flashback, introdotti e frammentati da spezzoni in cui il protagonista confida a un registratore la paura di essere assassinato. Si parte da un Milk ancora estraneo alla politica, per intrecciare i suoi esordi con banchetti e volantini per le strade di Castro alla vita privata, amori e valori, fino alla terza volta – quella buona – in cui si propose per le elezioni e le vinse. Consacrandosi mito, anche grazie alla terribile fine che spesso compete icone di tal genere consegnandoli all’immaginazione ancor prima che alla storia.
Sean Penn dimostra di essere uno dei migliori e più versatili attori del panorama hollywoodiano contemporaneo, sobbarcandosi un’interpretazione in cui lo spettro di cadere nel grottesco e nella macchietta era dietro l’angolo. Pericolo scongiurato ed esame superato con lode. Stesso discorso per le figure di contorno James Franco ed Emile Hirsch, mentre Josh Brolin – ormai rilanciato a tutto tondo – è praticamente una garanzia per ogni produttore. Peraltro la somiglianza con l’originale è stupefacente, vedere i titoli di coda per credere. Musiche di Danny Elfman.
Se il film si porterà a casa qualche statuetta è difficile prevederlo, vista la concorrenza spietata di The Millionaire, Il Curioso caso di Benjamin Button e The Wrestler. Intanto i posti fra le candidature migliori (film, regia, attore protagonista) sono prenotati.
Articolo del
02/02/2009 -
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