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April (Kate Winslet) e Frank (Leonardo Di Caprio) si conoscono ad una festa, sono giovani e pieni di sogni. Li ritroviamo sette anni più tardi in una villetta bianca di Revolutionary Road in un sobborgo benestante di New York: sono belli, intelligenti, “diversi”... eppure immersi in una vita frustrante che non gli appartiene realmente, dimenticate (o solo sopite) le antiche speranze. Dopo una furiosa discussione April raggiunge la consapevolezza, lei da sola, che l’unico modo per tornare ad essere felici è lasciare quel luogo alienante per inseguire ad ogni costo ciò in cui credevano: quindi partire per Parigi, loro e i due figli, per ricominciare. L’amore, la stima e la complicità l’un l’altra, che scoprono di non aver perso, riemergono per il breve periodo in cui progettano questa partenza, assolutamente incompresi e felicemente isolati rispetto ad una società che non riesce a vedere oltre i propri orizzonti. C’è solo una persona che comprende il forte desiderio che li ha portati a questa decisione, John (Michael Shannon) che una volta a settimana esce da una clinica psichiatrica dove è stata rinchiuso per eccessi di ira e scatti di violenza contro la madre, pienamente giustificati, considerato il fastidioso e benpensante atteggiamento di quest’ultima (la grande Kathy Bates). È latente la genialità di quest’uomo, l’intuito con cui percepisce la reale realtà che lo circonda e la rifiuta: l’ottusità, la miopia, l’ignoranza, la grettezza, proprio ciò da cui i Wheeler desiderano allontanarsi. Poi succede qualcosa, anzi una serie di eventi che imprigionano nuovamente la coppia, legandoli braccia e gambe a Revolutionary Road. Sentendosi isolata in un vicolo cieco, la voglia di vivere castrata di April esplode, insieme a tutta la sua infelicità, fino a diventare disperazione pura.
Revolutionary Road è il film di tutti: di chi è votato alla realizzazione delle grandi speranze, di chi ha “riaggiustato la mira” col passare del tempo, di chi vorrebbe scappare, di chi rimane, di chi realizza se stesso, di chi teme il fallimento, di chi fallisce e di chi vince. Mai eccessivo, né volgare Sam Mendes tratteggia ambienti claustrofobici e le contraddizioni della provincia americana che pare immobile da American Beauty fino a tornare indietro agli anni cinquanta di Revolutionary Road. Lo sguardo che il regista rivolge a questo luogo è solo un punto di vista che può essere riportato al mondo intero, in cui tutto è destinato ad essiccarsi e in cui i pochi tentativi di riscattarsi e di evadere autoimplodono con dolore, violenza e sofferenze estreme. In questa scenografia Kate Winslet e Leonardo Di Caprio incarnano il clerk e la desperate housewife globali, al di fuori del tempo e dello spazio. La sceneggiatura senza ritmo e la mancanza di un plot ben definito rientrano in un preciso progetto: ricreare un’atmosfera afosa e sonnolenta, con silenzi vuoti e disperati o scatti d’ira al limite del comprensibile. Revolutionary Road lascia inevitabilmente in bocca quel sapore amaro della sconfitta: i buoni perdono, i cattivi vincono, eppure questa vittoria non dà la felicità, né la serenità, perché non è completa, come se per vincere bisogna tradire qualcosa o qualcuno, ma innanzitutto se stessi, quello che eravamo, quello che avremmo voluto essere. E poi le persone che ci amano o che ci hanno amato.
Cammeo del film è la magistrale interpretazione di Michael Shannon, John lo psicopatico, l’unico che possiede la verità, ma il cui prezzo gli è costato assai caro, la libertà. O forse è l’unico libero: libero di parlare, libero di pensare. Il film si chiude con un silenzio che lascia senza parole.
Articolo del
10/02/2009 -
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