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La recensione che segue è stata scritta parzialmente sul cellulare durante la visione del film, il che la dice lunga su tante cose.
Un rapido quesito per iniziare: bastano i soliti abusati cliché del cinema horror mainstream corredati da una gnocca da paura (Odette Yustmanin questo caso) per fare un buon film di genere? Inutile dire che la risposta sia no. Trama: una ragazza ha frequenti visioni di un bambino che scoprirà essere un suo gemello mai nato. Non preoccupatevi, non vi ho anticipato il finale, quello è ben peggio.
Questo David S. Goyer è il David S. Goyer che ha firmato le sceneggiature di Batman Begins e de Il cavaliere oscuro, una garanzia direte voi. E qui casca l’asino: perché se spulciamo una sua bio scopriamo che dobbiamo ringraziare sempre lui per gli script di titoloni come Il corvo 2, Jumper e la trilogia di Blade. Diviene lecito allora chiedersi quanto Goyer e quanto Nolan ci sia nei due capolavori sull’uomo pipistrello… ed ecco arrivare Il mai natoa gettare benzina sul fuoco.
L’ennesimo filmetto horror riciclato che si infila nei buchi di programmazione di qualche multisala, speranzoso di ottenere grana da ignari adolescenti o testardi autolesionisti come il sottoscritto. Inutile indicare minuziosamente lo stuolo di film a cui attinge questa pellicola. L’avvenente protagonista (tramite la quale ho potuto scoprire che Casey non è un nome solamente maschile) ritenendo su non si sa quali basi di dover essere esorcizzata, ricorre ai servigi di un Gary Oldman versione rabbino che si è tagliato i baffi da tenente Gordon per indossare una più adatta – si fa per dire – kippah, cosa curiosa da immaginare ma pietosa da vedere. Perché serve da spunto per una riflessione: cosa spinge attori di calibro come lui a prestarsi a marchette di così infimo lignaggio? Il curriculum no di certo. E prima di lui Kiefer Sutherland in Riflessi di paura, Liev Schreiber nel remake di Omen, Maria Bello in The Dark, e via dicendo.
Privo di qualsivoglia originalità, zeppo dei soliti spaventi telefonati ad alto livello di decibel, col solito bambino (di nuovo?!), con la solita possessione, con i soliti spiriti che vengono dal passato lontano, con la solita bellezza in mutandine, con le solite incongruenze (è inverno ma lei gira per strada in maglietta, ma siccome ha un fisico da urlo non ha freddo), con le solite ridicole digitalate e trovate assurde come il riferimento all’Olocausto. E basta, una volta per tutte, con le trite metafore degli specchi, del doppio, del gemello. Perlomeno dura un’ora e venti, via il dente via il dolore. Dolore che i più giovani non potranno patire, perchè il film è anche vietato ai minori di 14 anni. Troppe inquadrature sul culo della protagonista?
Ma forse il problema è del sottoscritto, che dovrebbe imparare a gestire meglio il suo tempo libero, evitando la compagnia (a pagamento) di filmacci del genere. Che so, un po’ di sudoku piuttosto.
Articolo del
06/03/2009 -
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