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Fin da quando la Warner Bros ha annunciato di avere in cantiere la trasposizione cinematografica di Watchmen, forse la graphic novel più importante e complessa di sempre, la preoccupazione maggiore degli addetti ai lavori e dei fans dell’opera scritta da Alan Moore è stata quella relativa alla riuscita di una operazione del genere, dopo anni di tentativi falliti (il marchio era stato anche di proprietà della Fox, questione che, tra l’altro, ha portato a noie legali risoltesi solo in prossimità dell’uscita del film nelle sale), e con la poco rassicurante presenza in cabina di regia di Zack Snyder reduce da quel polpettone trash (per chi scrive) di 300, altra opera tratta dall’omonimo fumetto, questa volta, di Frank Miller. Purtroppo quando si parla di trasposizioni di opere da contesti differenti rispetto a quelli in cui erano state pensate originariamente, i dubbi sono tutti legittimi e il comportamento di Alan Moore, uno che certo non le manda a dire, che si è chiamato fuori dal progetto (rinunciando ad una buona fetta di royalties) era certamente da rilevare come un forte campanello di allarme in questo senso.
In realtà Snyder, pur tra mille compromessi, ha cercato in ogni modo di rimanere più fedele possibile (a parte il finale) all’opera originale trovando aiuto in Dave Gibbons (illustratore della graphic novel) e lavorando su ogni sequenza con una precisione maniacale. Non a caso nei filmati del making of rintracciati su internet durante i mesi di lavorazione, era possibile vedere al fianco del regista sempre una copia del fumetto, subito pronta per una consultazione al volo. Purtroppo però la carne a fuoco era tanta, e Snyder, come ha purtroppo mestamente ammesso, è dovuto scendere a patti con la major, ritrovandosi a tagliare quasi un ora di pellicola (tra cui i Racconti del Vascello Nero, vero e proprio meta-fumetto presente in Watchmen, che per fortuna, però, recupereremo in future versioni dvd) e rendere il più possibile commerciale ed appetibile al grande pubblico un opera che in realtà (nella sua forma originaria) prevedeva una riflessione più intima ed un gusto di fruizione più sfaccettato e legato alla grande verbosità dei personaggi (basti pensare che nel fumetto è presente tutto il libro “Sotto la Maschera” che narra il passato dei supereroi mascherati all’interno del mondo alternativo creato da Moore, e che qui viene citato in una breve sequenza con il confronto tra i due Gufi Notturni e nella sigla di apertura, con il risultato di perdere buona parte dell’empatia tra lettore e storia raccontata). E nonostante ciò, il film risulta troppo lungo e non omogeneo nelle sue parti, cosa che si nota molto quando dalla parte centrale si passa al finale in maniera frettolosa e poco approfondita, quando invece poche sequenze prima l’obiettivo del regista sembrava, all’opposto, quello di concentrarsi sui dettagli. Purtroppo questi sono problemi noti a chi cerca di ridurre al cinema qualcosa di estremamente complesso, perlomeno senza cercare di intraprendere qualche strada rischiosa. E così Snyder per paura di deludere tutti, forse ci è riuscito comunque, puntando molto sugli aspetti più sanguinolenti e sui suoi soliti ralenti nelle sequenze d’azione (noiosi, banali e tamarri) e lasciando i personaggi sullo sfondo di una troppo veloce caratterizzazione, cosichè alla fine l’unico a convincere è Rorschach, simbolo dell’ambiguità del bene e del male figlia di una ancora più ambigua e corrotta società. E il suo dialogo con lo piscologo del carcere è uno dei massimi vertici al cinema così come su carta.
Infine veniamo alla colonna sonora: chi avrà letto il fumetto saprà che ad ogni fine capitolo c’è una citazione di una canzone diversa che inquadra una certa tematica riguardante quello stesso capitolo. Ovviamente Snyder e la casa di produzione hanno colto la palla al balzo utilizzando quelle stesse canzoni per farne l’accompagnamento musicale. Così sentiamo sfilare una serie di pezzi immortali (e sputtanatissimi anche al cinema) di Dylan, Cohen, Simon & Gurfunkel che ottengono spesso e volentieri risultati piacevoli come un pugno in un occhio. Anche qui allora la sensazione è che la corsa sfrenata alla fedeltà verso il lavoro di Moore sembri spegnersi in un fuoco bagnato dall’incompatibilità tra due forme artistiche parallele ma non sempre coincidenti. Ma si poteva davvero fare di meglio?
Articolo del
10/03/2009 -
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