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«Un rivoluzionario è spinto da un grande sentimento di amore: amore per l’umanità, amore per la giustizia, amore per la verità».
Ernesto “Che” Guevara, dopo un colloquio durato una notte intera con Fidel Castro a Città del Messico, si convince che questi è il capo rivoluzionario che sta cercando ed aderisce al “Movimento del 26 di Luglio”, il cui programma è abbattere il dittatore cubano Fulgencio Batista. Nel novembre del 1956 sbarca a Cuba insieme ad 82 uomini ed è a capo de “la ofensiva” sulla Sierra Maestra, cui negli anni si aggiungono sia altri combattenti che contadini. Nel dicembre 1958 con un manipolo di uomini attacca e conquista Santa Clara. Batista il 1 gennaio 1959 fugge nella Repubblica Dominicana.
Il mito, l’uomo, il rivoluzionario, il combattente, il medico, l’affabulatore, il marxista, l’idealista, il romantico: Soderbergh non tralascia nessuno degli aspetti che “El Che” è stato e rimane ancora oggi. Lo vediamo nelle vesti di Comandante nella Sierra Maestra fucilare senza scrupoli i traditori, umiliare i codardi e punire chi commette errori. In quelle di Ministro dell'Industria ad arringare l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite con forza e durezza, ammonire le grandi potenze imperialiste sostenendo che il socialismo, raggiunto attraverso la lotta armata, può risollevare le sorti dei paesi del Terzo Mondo. Vediamo il dottore che cura i feriti e istruisce gli analfabeti. Vediamo anche l’uomo che si fa incipriare il naso e trovarsi in difficoltà di fronte ad una giornalista. A prescindere dalle convinzioni politiche Ernesto “Che” Guevara è ancora oggi stimato per la sua sicurezza e l’incapacità di scendere a compromessi a costo della sua stessa vita, ed è amato per il suo lato umano, quello dell’uomo malato e affaticato dall’asma, ma instancabile, che crede fermamente nel consenso, nella consapevolezza e nella coscienza del popolo.
Grazie a diversi registri linguistici e alla sovrapposizione dei diversi piani temporali il lavoro di Soderbergh è completo: colori vividi nella giungla, un bianco e nero patinato per le immagini newyorkesi. Ampio respiro per le scene di combattimento, strette inquadrature frastagliate per l’intima intervista. Un ottimo Benicio Del Toro, imponente, ma mai presuntuoso, profonda la voce, fermo e dolce lo sguardo. L’opera magna, costata a Soderbergh otto anni di lavoro, avrebbe una durata di quattro ore e mezzo suddivise con logicità storica in due puntate: purtroppo quest’interruzione segna una brusca rottura nell’esperienza umana e filmica raccontata con profondo amore dal regista.
Un ultimo appello: il doppiaggio. Purtroppo nel nostro paese incombe questa spada di Damocle che per molti è un vanto (si pensi alle topiche espressioni: “Abbiamo le migliori scuole di doppiaggio e i migliori doppiatori del mondo”), ma che per la sottoscritta rappresenta un gravissimo handicap. Pur non comprendendo a pieno una lingua o non comprendendola affatto, poter vedere un film nella sua versione originale consente di cogliere nel profondo come il fluire dei gesti e l’impostazione fisica trovino un corrispettivo puntuale nell’intonazione vocale: scelte precise del regista e capacità da non sottovalutare di un attore. Tanto più grandi sono il regista e gli attori, tanto maggiore sarà la qualità di questo lavoro, totalmente perduta in una copia doppiata. Ne deduciamo che togliere la voce ad un attore come Benicio Del Toro che qui incarna una figura della levatura di Ernesto “Che” Guevara in tutta la sua dettagliata corporeità, ha significato amputare in maniera assai grave sia l’interpretazione, che il personaggio. Questa è una rivoluzione, non un colpo di stato...
VOTO: 4/5
Articolo del
16/04/2009 -
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