|
Dominic Toretto trascorre la sua latitanza assaltando tir nella Repubblica Dominicana, finché un tragico evento non lo riporterà per strade di Los Angeles battute al tappeto da una sua vecchia conoscenza, Brian O’Conner. I due finiranno con l’allearsi per fronteggiare un nemico comune: l’ennesimo narcotrafficante da sgominare a colpi d’acceleratore.
La trama (giustamente) è solo un pretesto, sorretta da una sceneggiatura risibile nei dialoghi e riciclata dal secondo episodio della serie (ancora caccia all’Escobar di turno?), ma in fin dei conti tutto questo poco conta. Il vero carburante della pellicola sono le corse dei superbolidi supertruccati che da sempre hanno contraddistinto il marchio, e che puntualmente fanno presa su chi nasconde nel cassetto l’irrealizzabile sogno di sfrecciare a centosettanta miglia orarie nel centro cittadino. Il vero punto di forza del film è il recupero del cast originale, dove oltre al biondino Paul Walker ritroviamo quel Vin Diesel che già aveva lasciato una sgommata nel finale del terzo apocrifo episodio made in Japan, il più deludente e assurdo del filone. Se l’espressività del muscoloso protagonista è localizzata più nei bicipiti che nel volto, c’è da dire che funziona il ritorno della coppia Dom/Brian, e a ricordarcelo interviene una gara cittadina presa pari pari dal primo Fast & Furious, esito finale compreso. La regia del taiwanese Justin Lin fa il suo lavoro in maniera più che dignitosa, ed è forse l’unico residuo apprezzabile rimasto da Tokyo Drift.
Pur non segnando certo la storia del cinema, ce ne fossero di pellicole da consumo come questa: tanta azione (la scena d’apertura è la più riuscita e spettacolare, nonostante poi il film a brevi sprazzi si ammosci perdendosi più negli uffici dell’Fbi che sull’asfalto), tanti cavalli, tanta adrenalina, sentimenti spiccioli e la solita mandria di bionde succinte a far da supporto agli street racers. Si poteva chiedere qualcosa di più? Forse sì, perché giunti al quarto capitolo è andato un po’ scemando quel feticismo maniacale che in poche ore ci rese esperti di vetroresina, protossido d’azoto, cerchi cromati da venti pollici, scarichi liberi e centraline modificate. Le battute cult («Vivo la mia vita un quarto di miglio alla volta») e le auto-personaggio (Mitsubishi Lancer su tutte) si sono perse per strada, valorizzando più le “parti originali” attoriali che il resto. Qualche sgasata in più non l’avremmo buttata via insomma, forse perché la pretesa è quella di spingersi sempre oltre il limite precedente. Ma il pubblico maschile con le unghie sporche di olio motore saprà apprezzare comunque; ovviamente chi si porta la morosa in sala si prepari per una serie di ingiurie che pregiudicheranno il resto della serata.
Una cosa è certa: a proiezione terminata, sulla strada del ritorno verso casa, sarete presi dallo sconforto più assoluto nel realizzare di aver posato le vostre umili natiche su una Punto del ’97 priva di chiusura centralizzata e alzacristalli elettrici. Costretti a rispettare i cinquanta orari mentre la spia della riserva lampeggia minacciosa. Altro che Ford Gran Torino sovralimentata.
VOTO: 2,5/5
Articolo del
20/04/2009 -
©2002 - 2025 Extra! Music Magazine - Tutti i diritti riservati
|