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Sidney Young, un giornalista inglese di una piccola rivista di spettacolo, viene chiamato a lavorare a New York dal redattore di un’importante testata del settore: Clayton Harding, capo della famosa rivista Sharp. In un ambiente totalmente cinico e arrivista, Sidney dovrà cercare di emergere senza scendere a patti col mondo patinato delle star e restando fedele alla sua indole eversiva e genuinamente ribelle.
Basato sull’autobiografia di Toby Young, ex giornalista di Vanity Fair, questo film ci introduce nel mondo dello show business mostrando l’altra faccia della medaglia, tutto ciò che, per così dire, riguarda gli addetti ai lavori. Peccato però che il tema di fondo sia già stato ripreso più volte e anche in tempi recenti, come ne Il diavolo veste Prada. Se poi consideriamo il fatto che tutta l’ambientazione alla fine si riduce ad una sovrastruttura piatta e superficiale che nasconde al suo interno la solita e banale trama amorosa, lo spettatore potrebbe quasi sentirsi ingannato. Anche se l’intento era quello di fare un film leggero e divertente (e da questo punto di vista, tutto sommato, niente da dire) è stato attenuato eccessivamente lo sguardo con cui il Cinema giudica se stesso. Perfino Tropic Thunder, che non aveva certo velleità di tipo autoriale, con molta semplicità mostrava le star alle prese con traumi personali e sotto una luce decadente, sebbene in situazioni comico-demenziali al limite del grottesco. Forse un po’ di cattiveria in più non avrebbe guastato.
Lo svolgimento della trama è molto confusionario, e ad un certo punto il film sembra non seguire più una logica concatenazione di eventi. Poco motivato il rapido successo che coinvolge Sidney, e ancor meno il meccanismo che porta il personaggio di Kirsten Dunst a innamorarsi del protagonista. Ma dal momento in cui entrano in gioco i sentimenti, ormai lo sviluppo non ha più mordente e il film va avanti per luoghi comuni da commedia romantica conducendo ad un finale assolutamente scontato.
Simon Pegg, protagonista di commedie quali Hot Fuzz e L’alba dei morti dementi, fa quello che può in un film che non gli si addice troppo per quelle che sono le sue doti attoriali. Con quelle smorfie e quegli atteggiamenti molto poco british style, riesce a far ridere in più di un’occasione. Tra gli altri, Kirsten Dunst non fa altro che riproporre lo stereotipo della ragazza della porta accanto, che forse non riuscirà mai del tutto a togliersi di dosso; Danny Huston e Gillian Anderson rappresentano, senza grandi exploit, la parte cattiva e ruffiana dello star system; infine Jeff Bridges che riesce a dare qualche guizzo davvero divertente ad un personaggio poco approfondito e sviluppato sommariamente.
Un film che tutto sommato diverte, anche se andando al sodo non c’è molta originalità, e che prende il mondo del cinema più come pretesto che come vero bersaglio, per raccontare la storia di un personaggio che vorrebbe essere più concreto e sincero del mondo di vanità del quale è entrato a far parte. In fondo il successo, la Dolce vita, piace a tutti. Non a caso infatti il film di Fellini ricorre con citazioni (purtroppo un po’ grossolane) a più riprese nel film.
VOTO: 2/5
Articolo del
16/05/2009 -
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