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Marco Bellocchio
Vincere
Drammatico/storico, 128’ – Italia, Francia
2009
Produzione: OffSide, Rai Cinema, Celluloid Dreams Productions; in collaborazione con Istituto Luce / Distribuzione: Celluloid Dreams
di
Eleonora D'Aguanno
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Dopo il ritorno da Cannes Bellocchio con il cast e la troupe al completo venerdì 22 maggio è a Roma, al Cinema Eden, a presentare la sua ultima fatica. Grande assente è Giovanna Mezzogiorno, mentre Filippo Timi si esibisce in un serie di marinettiani versi onomatopeici. Il regista appare pienamente soddisfatto dei risultati ottenuti. Viene ribadito il concetto di “melodramma futurista” e l’intrinseca contraddizione lascia inizialmente perplessi e incuriositi.
Ida Dalser (Giovanna Mezzogiorno) tra il ’14 e il ’15 ebbe una storia d’amore con Benito Mussolini (Filippo Timi) prima che questi diventasse “il Duce” e dall’unione nacque un figlio regolarmente riconosciuto. Per tutta la vita la donna sostenne di essere legalmente sposata con Mussolini, ma i documenti ufficiali non furono mai trovati. All’apice della sua ascesa si ritenne opportuno eliminare qualsiasi elemento che minacciasse la rettitudine di Mussolini, per questo Ida fu tenuta inizialmente sotto stretto controllo, poi rinchiusa in un manicomio per anni, dove morì nel 1937. Morì in un manicomio cinque anni più tardi anche il figlio, il ventiseienne Albino Benito Dalser (Filippo Timi), cui nel 1932 con un decreto reale fu impedito di portare il cognome del padre. Giovanna Mezzogiorno sostiene bene un ruolo pieno di contraddizioni, di donna caparbia, forte, eppure assolutamente soggiogata dal fascino dell’uomo Mussolini, dell’arringatore, dell’idealista, del passionale. Compagna fedele e testarda, combatté in solitudine e per anni una battaglia senza possibilità di vittoria. Bellocchio evita delicatamente di portare troppo alla ribalta la follia cui inevitabilmente venne spinta, puntando più sulla sua debolezza nei confronti di un avversario imbattibile. La sua stessa famiglia la tradisce, simbolica è la scena in cui dopo anni di prigionia torna a casa della sorella sperando di poter rivedere il figlio, quando si trova fittamente schierate tutte le camicie nere e, come zombie contagiati, anche la sorella e il cognato, le uniche due persone che credevano in lei, erano stati fascistizzati.
Una storia cruda in cui tornano gli elementi fondanti di Belloccio, la malattia mentale, un’analisi sociale attraverso un ricostruzione storica. Il regista non teme confronti col passato, anzi questi rappresentano un espediente per osservare il presente: contestualizzate nelle vicende storiche e nel ritmo filmico le immagini di repertorio dei discorsi del Duce focalizzano immediatamente l’attenzione sulla sua possente capacità comunicativa e sul suo carisma. A questo proposito è interessante la doppia interpretazione di Timi, scelta stilistica che il regista ha fatto consapevole di dare una duplice sfaccettatura all’attore: l’uomo fermo e deciso da una parte e dall’altra il ragazzo fragile e instabile. Il dittatore e la caricatura dello stesso.
Bellissima la fotografia di Ciprì: sgranata, di un blu cobalto, vivida per le scene di passione , «grigia, quasi decolorata» (come dichiara Belloccio) per quelle nel manicomio. Colori più sgargianti e feroci durante l’Esposizione Futurista cui il Duce interviene. Elementi futuristi sono ritmicamente inseriti per incalzare la narrazione: come i motti tipici del movimento e inneggianti alla Guerra, all’Azione, alla Macchina. Andatura del montaggio che va a rallentare nella seconda parte per lasciare più spazio ai cinegiornali, alle bellissime e toccanti immagini de Il monello in un cinematografo o alla scena intensa e vorticosa all’interno della chiesa/ospedale militare, in cui viene proiettato Christus di Giulio Antamoro. Al di là del mero citazionismo, le immagini che Belloccio riporta entrano a pieni titoli nel respiro del film.
VOTO: 3/5
Articolo del
26/05/2009 -
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