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McG
Terminator Salvation
Azione, Fantascienza, 115’ - U.S.A.
2009
Produzione: The Halcyon Company, IMF Internationale Medien und Film GmbH & Co. Produktions KG, Intermedia Films, Lin Pictures, T Asset Acquisition Company; Distribuzione: Sony Pictures
di
Marco Jeannin
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Dove eravamo rimasti? Il giorno del giudizio non può essere evitato, possiamo solamente rimandarlo. E prima ancora: “Hasta la vista baby” e “No hay problema”. Il quarto capitolo della serie “Vieni con me se vuoi vivere” alias Terminator, finalmente mette in scena la tanto celebrata guerra tra gli uomini e le macchine di Skynet. Il capo “spirituale” della resistenza, John Connor (Christian Bale) dovrà affrontare il suo passato (o futuro?) e una nuova generazione di terminator dalle sembianze umane come Marcus Wright (Sam Worthington), per condurre l’umanità alla salvezza.
Non è facile riempire le scarpe di James Cameron. Non lo è stato per Jonathan Mostow qualche anno addietro e non lo è oggi per McG. E pensare di rilanciare un franchise come Terminator, diciamoci la verità, non è un’impresa facile per nessuno, figuriamoci per il regista di Charlie’s Angels. La Halcyon Company però deve aver preso il virus che ha colpito un po’ tutti a Hollywood dopo l’uscita di Batman Begins: e via come il vento a spendere milioni per accaparrarsi i diritti di uno dei massimi capitoli della storia del cinema recente. Eh già, perché che ci si creda o no, Terminator rappresenta un’epoca e un modo di fare cinema oramai scomparsi da tempo. E su questa base direi che si può impostare il discorso riguardante Terminator Salvation. Per prima cosa vanno fatti i complimenti, del tutto insperati, al buon McG, che a dispetto del nomignolo (il vero nome è Joseph McGinty Nichel), sa il fatto suo e ha diretto molto bene una sceneggiatura molto articolata (di John Brancato e Michael Ferris, con l’aiuto non accreditato di Jonathan Nolan) fatta di scenari complessi e di una valanga di CGI. Terminator Salvation parte molto forte, con una scena iniziale d’impatto (l’esecuzione) girata con grande tatto ed enfasi e seguita da un incipit altrettanto efficace: tutto da godere il piano sequenza dell’elicottero che precipita (ma tu pensa, McG che usa i piani sequenza). Fatti i complimenti al regista, vanno spese due parole sulla sceneggiatura e in particolare sui personaggi. Per prima cosa possiamo finalmente vedere qualcosa di questa benedetta guerra, e soprattutto un punto di vista nuovo in generale. La sceneggiatura, così come la regia appunto, è complessivamente buona, spettacolare nei momenti d’azione, e relativamente misurata nei dialoghi e nelle transizioni senza mai essere troppo complicata e per la prima volta senza l’assillo di dover piazzare gli immancabili salti temporali. Il primo dubbio viene dal fatto che i quaranta minuti tagliati si sentono e pesano non poco nell’economia generale del film. A farne le spese ovviamente sono in primis i personaggi (vedi il rapporto tra Marcus e la bella Blair - Moon Bloodgood) e in secondo luogo, ma non meno importante, una certa chiarezza nei momenti d’azione (l’arrivo a Skynet tanto per dirne una). Christian Bale ha il compito di dare vita a John Connor adulto, un quasi mito che l’attore gallese incarna bene da un punto di vista iconografico, ma decisamente monolitico per quanto riguarda la gamma espressiva. Molto meglio di lui fa Sam Worthington, vero protagonista del film dotato di una presenza fisica quasi perfetta, un viso meraviglioso e buon carisma. Non è un caso che James Cameron l’abbia scelto per Avatar. Incredibilmente somigliante il nuovo Kyle Reese (Anton Yelchin) a quello visto nel primo Terminator, ad ulteriore prova di un ottimo lavoro di casting. Cercando invece di fare le pulci al film inserito nel contesto della serie, è facile trovare i rimandi (dalla colonna sonora, alle battute nei dialoghi) alla serie madre, ed è altrettanto facile fare un paio di conti verso la fine, quando arriva il momento della comparsata del doppio digitale (un avatar?) di Schwarzy accompagnato dal tema che ha reso celebre la saga. E in un niente crolla inesorabilmente il castello di carta: Terminator Salvation è un buon film rispetto alla produzione media dei blockbuster odierni, ma bastano due secondi (in pieno amarcord) del viso di “Governator” per capire che i film d’azione come quelli di una volta non si fanno più, che i James Cameron non crescono sugli alberi e che purtroppo ci siamo abituati ad un livello cinematografico pessimo se dobbiamo arrivare a dire che Terminator Salvation è a conti fatti un buon film. Prendiamo il finale: funziona e commuove abbastanza da metterci in buona predisposizione per l’eventuale sequel. E il pollice alzato del terminator che scompare nel metallo fuso? Che cosa diciamo di quello? Già perché terminator è questo, è l’abilità di un regista di saper trasformare un pezzo di carne bello grosso di nome Arnold, con delle battute a prima vista discutibili, in una delle icone indiscusse del cinema, di saper gestire scene d’azione vere fatte di esplosioni e palazzi che prendono fuoco, di tir (veri, mica in CGI) che si lanciano giù dal cavalcavia all’inseguimento di una Harley guidata da un armadio con un fucile a pompa e che alla fine ci farà scendere più di una lacrima. La verità è che questo cinema sembra morto e sepolto, e film come Terminator Salvation non fanno altro che accrescere la nostalgia (o il rimpianto?) verso qualcosa che ci ha cresciuto e che ora ci manca dannatamente.
Cosciente del fatto che se si vuole portare avanti una saga non si può ripetere all’infinito quello che l’ha resa celebre (e il flop di Terminator 3 è li a ricordarcelo quando ne abbiamo bisogno), mi chiedo se la promessa di una caterva di soldi (che non è arrivata) al botteghino sia sufficiente a giustificare l’accanimento terapeutico (anche di qualità come in questo caso) su tesori inestimabili del cinema come i primi due Terminator. Lasciamoli riposare in pace per una volta.
VOTO: 2/5
Articolo del
10/06/2009 -
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