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Coraline Jones ha undici anni e si è appena trasferita con i genitori nella nuova casa ad Ashland, nell’Oregon, con tante finestre, un ritratto noioso appeso sopra il camino e una porticina segreta che sembra non portare da nessuna parte. Coraline scopre presto che dietro la porta si apre un passaggio che conduce a una casa identica alla sua dove vive una donna uguale a sua madre, tranne che per due bottoni scuri cuciti al posto degli occhi. L’altra madre, e poi l’altro padre, sono tutto quello che manca ai veri genitori: sono gentili e amorevoli e soddisfano ogni desiderio che Coraline esprime. A patto però che lei decida di restare per sempre, e farsi cucire a sua volta i bottoni al posto degli occhi. La piccola Coraline allora dovrà riuscire a sfuggire a questo incubo colorato che nasconde un mondo di tenebra, a salvare la propria vita e chissà, con l’aiuto di un gatto parlante, anche quella di qualcun altro.
Henry Selick è il talentuoso animatore che ci ha regalato il capolavoro assoluto Nightmare before Christmas circa sedici anni fa. All’epoca, il deus ex machina dietro l’intero progetto era un certo Tim Burton. Ci vollero anni di lavoro per portare sullo schermo la vicenda di Jack Skellington e compagnia, grazie a quella meravigliosa tecnica che è la stop motion. Beh, gli anni sono passati, Tim Burton ha continuato per altre (strabilianti) strade e di Henry Selick si sono perse le tracce, più o meno. Coraline è il ritorno di un regista al suo primo amore, l’animazione, e questa volta a fare da supporto ci sono la grandissima abilità creativa e l’immenso talento narrativo di uno dei più grandi autori attuali di narrativa per ragazzi e non: Neil Gaiman. Coraline e la porta magica è il risultato di questo incontro di menti, un film d’animazione (non è un cartone animato!) molto prezioso e intelligente, visionario e delicato. Una storia imprevedibile fatta di colpi di scena, ambientazioni lisergiche e tinte horror. I cento minuti di durata della pellicola racchiudono un mondo di sogno raccontato con la minuzia dell’artigiano che muove i pupazzi un fotogramma per volta fino a generare il movimento, creare la vita. Non mi soffermo troppo sulla complessità di una messa in scena di questo tipo, va però sottolineato quanto questa tecnica rappresenti una delle esperienze visive più incredibili possibile e i grandi passi in avanti fatti in ambito tecnologico (grazie anche al meraviglioso 3D stereoscopico che finalmente si rivela come un’imprescindibile arma in più): carrellate e dolly vertiginosi, movimenti di macchina delicati e precisi per una fotografia più che perfetta. Il tutto a servizio di una grande storia, che mette al centro un tema fondamentale come l’importanza degli affetti, visto però dagli occhi meravigliosi di una protagonista affascinante. La sceneggiatura dello stesso Selick si fonda sulla costruzione di personaggi utili e in costante crescita, Coraline su tutti ovviamente, come un moderno romanzo di formazione inserendoli in un contesto di meraviglie visive e trovate narrative a limite della follia. L’esatto corrispettivo di quello che Gaiman riesce a fare su carta. Adattamento perfetto in questo senso, anche grazie all’inserimento del giovane Whyborn, personaggio “gaimaniano” al cento per cento già dal nome che rende più efficace la già ottima trama narrativa che rivisita gli elementi tradizionali del genere favola (protagonista, antagonista, aiutante, mezzo magico e via dicendo) in chiave personale. C’è un po’ di tutto in Coraline: il viaggio di Alice nel paese delle meraviglie di Carroll e il genio surreale di David Lynch e non manca il gusto per il dark e il gotico di Tim Burton che viene citato un paio di volte (vedi l’albero che prende vita aprendosi proprio come la collina di Nightmare Before Christmas).
Insomma, Coraline è un viaggio incredibile che prende vita alla perfezione e con intelligenza. Selick è riuscito in una missione ardua, quella di unire la bellezza visiva all’intelligenza narrativa per uno scopo nobile. Perché che ci si voglia credere o meno, come giustamente dice Tim Burton, è un bene che i bambini vengano spaventati. La paura è parte integrante della vita e l’esperienza della stessa si incide nella memoria come poche altre cose. Quindi bando alle facili morali e alle avventure all’acqua di rose: è il momento della paura in tre dimensioni, quella buona però, quella che fa crescere. E grazie a Coraline tutto questo è possibile. Non resta che lasciarsi prendere da un turbine di topi salterini e vecchie attrici di teatro, da animali parlanti, bambini fantasma e perfide streghe con ago e filo. Coraline è un capolavoro bello da far paura.
VOTO: 5/5
Articolo del
22/06/2009 -
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