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Tre anni dopo il semi-fiasco (commerciale, di sicuro non artistico) di Miami Vice torna Michael Mann. E torna con la scelta (per lui) più ovvia, ossia raccontare la storia del nemico pubblico John Dillinger. Infatti chi meglio del gangster può incarnare perfettamente il classico eroe manniano? Dillinger è personaggio ambiguo, capace di passare da momenti di violenza pura con i suoi compagni al lanciarsi in uno straziante pianto quando si rende conto di non poter vedere più il suo amore. Un personaggio romantico d’altri tempi, quasi un cowboy, con delle regole ferree (rubare solo i soldi della banca e lasciare quelli dei clienti) che riscontra assonanze con il Neil di Heat – La Sfida. Ma le similitudini con il capolavoro del 1995 finiscono qui, chi si aspettava un confronto tra Dillinger e il poliziotto Melvin Purvis rimarrà deluso. A Mann interessa esclusivamente raccontare del Dillinger come uomo, criminale, amante, lasciando la “sfida” tra i due in secondo piano.
Rimarrà deluso anche chi si aspetta il classico biopic hollywoodiano con protagonista la star di turno che punta all’Oscar (anche se Public Enemies si meriterebbe tanti premi). Infatti la sceneggiatura – curata dallo stesso regista con Ronan Bennett e Ann Biderman, tratta dall’omonimo romanzo di Bryan Burrough - fa iniziare il film durante la prima evasione di Dillinger, senza dare nessun coordinata del personaggio (l’unico riferimento è la risposta che dà alla sua ragazza quando gli viene chiesto di raccontare qualcosa di lui “I like baseball, movies, good clothes, fast cars... and you. What else do you need to know?"). Ma a Mann basta un primo piano ed eccoci che un personaggio di cui non conosciamo niente diventa uno di noi. Il contrasto tra la grandiosa fotografia di Dante Spinotti (storico collaboratore di Mann) e le scenografie anni Trenta di Nathan Crowley (Il Cavaliere Oscuro) è splendido e riesce a creare un fascino introvabile nelle altre pellicole (l’inseguimento notturno a metà film è uno delle vette più alte del cinema degli ultimi anni). Ma la cosa che più allontana Public Enemies da qualsiasi film hollywoodiano è il pessimismo con cui è raccontata la vicenda, introvabile nei canonici kolossal. Questa è la grandiosità del cinema di Mann, riuscire ad appropriarsi dei generi più classici e trasformarli in qualcosa di più alto, un modo per riuscire a parlare di noi esseri umani.
Inutile parlare della bravura degli attori. Lontano dagli eccessi burtoniani e disneyani, Johnny Depp ci regala una delle migliori performance della sua carriera, una prestazione così alta che rischia di oscurare la (pur ottima) prova di Christian Bale. Anche la bellissima Marion Cotillard ci dona una interpretazione da brividi (vedere il memorabile finale per credere) facendoci sperare di vedere questa magnifica attrice in molti altri film.
In conclusione Public Enemies ci dà la conferma che Michael Mann è, insieme a pochi altri, uno dei più grandi cineasti del nostro tempo, uno dei pochi registi che continua a regalarci opere che segnano nuovi standard nell’estetica del cinema. Sperando che, almeno questa volta, il pubblico se ne accorga e non si perda una pellicola essenziale.
VOTO: 5/5
Articolo del
29/07/2009 -
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