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Nella Parigi della Belle Époque spadroneggiavano le cortigiane: prostitute coltissime, raffinate, smisuratamente ricche, per le quali persino i regnanti europei erano disposti a fare follie; maestre del bon ton dell’epoca, spesso era affidata loro l’educazione “sentimentale” dei giovani rampolli francesi. Un cursus honorum del tutto ufficioso tuttavia, perché restavano pur sempre donne reiette dalla società, di cui tutti avevano ben nota l’esistenza e ne sfruttavano i servigi, ma senza troppe pubblicità…
Forse la più bella di tutte le cortigiane del periodo, spiega l’incipit del film, era Léa de Lonval (Michelle Pfeiffer, cinquant’anni e non sentirli), che dopo una vita di successi in società, decideva di appendere le mutande di pizzo al chiodo e prepararsi ad un’agiata pensione. Ma galeotto è l’incontro con il giovane Chéri, figlio di una “collega”, reso abulico dai vizi all’ombra della Tour Eiffel: la passione si accende tra l’insondabile ragazzo e la sua zia adottiva Lea, nonostante gli oltre vent’anni di differenza e l’incombente matrimonio (combinato) di lui con una coetanea. Dura sarà la lotta per opporsi ad un sentimento così trascinante, quando il Tempo per lei e le responsabilità matrimoniali per lui busseranno ripetutamente alle loro porte…
Stephen Frears, una carriera ricca di ottimi film tra la terra d’Albione e Hollywood, ha sempre avuto un debole per le fonti letterarie: questa volta il suo spunto è la romanziera francese Colette. Ma se il suo tentativo era bissare l’altro suo successo di ambientazione francese, quel gioiello de Le relazioni pericolose dell’88, cercando di ricomporre parte della mitica squadra (attrice e lo sceneggiatore conterraneo Christopher Hampton), non si può dire riuscito. Stavolta il testo letterario sembra adattato frettolosamente e senza convinzione: la storia d’amore tra i due tragici protagonisti, presunto fulcro della vicenda, resta fredda e piena di lacune, e spesso i lati buffi e comici (affidati all’impagabile spalla Kathy Bates, madre di Chéri) prevalgono nell’attenzione dello spettatore: si resta così interdetti da un finale atroce a sorpresa, lasciato per di più ad un’asettica voice over, fuori campo e fuori luogo.
E non basta che il buon Frears voglia autocitarsi, strizzando l’occhio ai cinefili più accorti nel sottofinale, con un iconico primo piano della Pfeiffer piangente che fu già della perfida Glenn Close de Le relazioni pericolose; non ci riscuote da un’opera che scivola via un po’ come pioggia su un impermeabile. Alla fine resteranno, paradossalmente, i fastosi costumi, le vie e le ville parigine, e le risate assicurate da un sottobosco di ottimi caratteristi. Un po’ fuori luogo, come certe rimpatriate forzate tra registi e sceneggiatori…
VOTO: 2/5
Articolo del
10/09/2009 -
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